Nel giro di una ventina di giorni la Cedu (Corte europea per i diritti dell’uomo) dovrà decidere su un appello riguardante una vicenda spinosa sollevata dai fratelli Cavallotti, imprenditori che hanno subito una confisca definitiva dei loro beni pur essendo stati assolti per le accuse di partecipazione alla mafia. La sentenza della Cassazione di fine 2015 ha statuito che quella dei Cavallotti avesse «la natura di impresa mafiosa o collusa con la mafia, tratteggiandone i tratti salienti, in piena sintonia con l’elaborazione giurisprudenziale sul punto». Gli avvocati difensori degli imputati sostengono la tesi che le misure di prevenzione – a questa categoria appartengono le confische dei beni – sono delle sanzioni di carattere penale e dunque devono seguire le sorti del processo penale.

In realtà non è così nell’ordinamento legislativo italiano dal momento che le misure di prevenzione seguono un percorso diverso dal processo penale e sono adottate, per l’appunto, in forma preventiva, per impedire che il possesso dei beni, di cui il soggetto intestatario non ha saputo dimostrare la liceità, possano rivelarsi un pericolo concreto per la società. L’illecita acquisizione dei beni determina, com’è stato evidenziato da una pronuncia della Corte costituzionale, un vizio genetico nella costituzione dello stesso diritto di proprietà risultando «sin troppo ovvio che la funzione sociale della proprietà privata possa essere assolta solo dall’indeclinabile condizione che il suo acquisto sia conforme alle regole dell’ordinamento giuridico». Di conseguenza, la finalità della confisca ha lo scopo di ripristinare la situazione che si sarebbe configurata senza l’illecita acquisizione del bene, e perciò, riconoscendo ad esso una finalità di pubblico interesse, destina i beni a un loro uso sociale.

È evidente che il ricorso alla Cedu, oltre che alla legittima difesa degli assistiti, ha come obiettivo la cancellazione di una legislazione che fino a ora ha permesso, assieme alle condanne penali, e forse più di queste, di assestare un duro colpo alle organizzazioni mafiose, posto che la confisca dei beni significa togliere loro l’ossigeno, cioè la possibilità di avere la disponibilità economica con la quale fare affari criminali, a cominciare dal traffico della droga, corrompere, pagare gli associati, entrare nei salotti buoni della società, essere riveriti e temuti.

Chi non conosce il duro prezzo di sangue pagato per arrivare a questo risultato può pensare di ribaltare quanto è accaduto. E allora bisogna ricordare che tutto nasce nel 1982 quando venne approvata la legge Rognoni-La Torre con la quale s’introduceva l’articolo 416bis e si apriva la porta ad una legislazione che portasse a intaccare i patrimoni mafiosi. Per approvarla furono uccisi Pio La Torre, il deputato comunista che l’aveva proposta in Parlamento, e il prefetto di Palermo Carlo Alberto dalla Chiesa.

Prima di quella legge i mafiosi venivano assolti perché non c’era una norma che punisse l’appartenenza a un’associazione mafiosa. Dopo quella legge cominciarono i grandi processi. Il più importante fu il cosiddetto maxiprocesso di Palermo istruito dal pool antimafia. Senza quella legge il processo non si sarebbe fatto e non ci sarebbero state le condanne di tutti i capimafia più importanti.

Questo è lo sfondo in cui si colloca la decisione della Cedu che non è un atto come gli altri. Per questo sarebbe opportuno che la seduta fosse pubblica in modo tale da evitare una pronuncia solo sulle carte prodotte e da permettere all’avvocatura dello Stato di ricordare ai giudici la storia di Cosa nostra e delle altre mafie, di farli riflettere sui morti eccellenti, a cominciare da Piersanti Mattarella, ucciso il 6 gennaio 1980 fino ad arrivare alle stragi.

E potrebbe, l’avvocatura, avvalersi di immagini o filmati che ricordino, in modo visivamente efficace, cosa è stata la stagione di sangue. Ma è bene ricordare, ai giudici che devono emettere la sentenza, che i mafiosi sono oramai presenti in tutti i territori europei, che una parte di economia è oramai in mano mafiosa.

Mani che grondano sangue perché i mafiosi continuano ancora ad uccidere. Succede ancora, nonostante non se ne parli più.

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