Il 15 febbraio del 2003 oltre 100 milioni di persone scesero nelle piazze delle principali città del mondo per opporsi all’imminente guerra che sarebbe stata poi scatenata in Iraq.


Questo articolo fa parte del ciclo "Pro&Contro", con due opinioni opposte a confronto su uno stesso tema. L’articolo “contro” può essere letto qui.


Si trattò della più grande manifestazione pacifista della storia, e la società civile che la animò fu definita dal New York Times “la seconda potenza mondiale”.

Certo, le manifestazioni non fermarono la guerra. Eppure avevamo ragione, e averlo creduto fa di quei cento milioni di persone che eravamo i custodi di una verità che oggi pochi sarebbero disposti a disconoscere.

Menzogne, interessi inconfessabili, politiche di potenza tanto ciniche quanto blasfeme nei confronti degli ideali di democrazia di cui ammantavano i loro cannoni, calcoli sbagliati e catastrofici nelle loro conseguenze.

Queste erano le basi morali di una guerra che ne scatenò altre, destabilizzando un’intera regione del globo.

Vent’anni dopo molte delle associazioni di allora, coordinate in Italia  da Europe for Peace – Rete Italiana Pace e Disarmo sono pronte a dare inizio alla marcia straordinaria Perugia-Assisi, nella notte fra il 23 e il 24 febbraio, uno dei momenti più simbolici delle centinaia di manifestazioni che hanno già cominciato a svolgersi nelle città italiane ed europee, e culmineranno a Roma il 25 febbraio.

Fermeremo la guerra in Ucraina? Certamente no. Sono manifestazioni inutili, allora?  No, altrettanto certamente.

Per risvegliarci dall’inerzia

«Il mondo è quel disastro che vedete, non tanto per i guai combinati dai malfattori, ma per l’inerzia dei giusti che se ne accorgono e stanno lì a guardare» (Einstein).

Risvegliarci dall’inerzia della mente e del cuore è la prima utilità sperata. Stiamo vedendo crollare uno dopo l’altro gli ideali che hanno dato un po’ di senso alla vita di tutte le generazioni postbelliche, in Europa.

La stessa Unione europea è stata il più grande progetto politico del Novecento, e la sua parziale realizzazione costituiva un unicum nella storia politica del mondo: uno stato che prova a nascere non per via di guerra, di conquista imperiale o coloniale, ma per unione pacifica e cessione parziale di sovranità di stati con una loro storia, una loro potenza, una loro gloria.

Per graduale costruzione di istituzioni normative ispirate a valori riconosciuti più alti di quella storia, quella potenza e quella gloria, che nei secoli avevano prodotto  sacri macelli, risse cristiane, imperi feroci e razzisti, e finalmente una guerra civile europea 1914-1945, con le due esplosioni  più violente e assassine dei millenni di precedente (in)civiltà.

 L’esperienza morale dell’intera prima metà del secolo e delle sue tragedie aveva fatto fiorire nelle menti migliori il vecchio ceppo dell’albero dei Lumi, coi rami delle sue istituzioni normative, cresciute a raddrizzare il legno storto dell’albero umano: un embrione di democrazia sovranazionale, parlamento, governo, corte di giustizia, concepiti per elevare la politica al di sopra delle logiche di dominio, dell’arroganza dei potenti, del servilismo dei deboli.

Per fare che, almeno nella patria dei diritti umani, l’impero della legge, la voce del diritto rimpiazzassero la selva geopolitica degli equilibri di potenza, sempre pronti a spezzarsi e a rovesciare la civiltà umana nel suo opposto assoluto, inesistente in tutto il resto del mondo animale, estremo per stupidità, violenza e barbarie: la guerra.

Quel poco che fu realizzato, sotto la corona di stelle di quella bandiera azzurra, nel commosso largo beethoveniano dell’Inno alla gioia, era l’ultima fioritura del ceppo kantiano, era il sospiro di speranza della pace perpetua – era davvero il fiore delicato dell’umana età della ragionevolezza, aveva la dolcezza della maturità forse raggiunta.

Il tradimento dell’Ue 

Questa immensa speranza è stata ferita a morte. Lo ha fatto la stessa Ue, con la sciagurata decisione di dimenticare tutto, le promesse del futuro e gli impegni presi in passato – fra cui gli impegni presi nei confronti di una Federazione Russa che con Gorbaciov aveva sciolto l’impero aprendosi all’Occidente; di rinnegare il proprio stesso Dna di potenza del diritto sovranazionale e della pace, la sua vocazione di ponte fra Occidente e Oriente; e di cedere di schianto la guida di se stessa al pugno inaffidabile degli Stati Uniti e del loro stridulo presidente, a sua volta guidato da preoccupazioni totalmente altre da quelle europee.

E’ nostro dovere gridare alta al cielo la nostra delusione, la nostra volontà che almeno ci si fermi sull’orlo del baratro.

Soprattutto noi lo dobbiamo, che abbiamo qui il più grande arsenale mediterraneo della Nato.

Io spero che a ad arrivare stanca sui colli di Francesco d’Assisi, il 24 febbraio mattina, sia l’Italia intera.

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