In 90 secondi possiamo scaldare una tazza di latte nel microonde, stracciare il record del mondo nei duecento metri stile libero, andare da una fermata alla successiva con la metro, ordinare e bere un espresso. Oppure, evitare di scomparire dalla faccia della terra. E non a causa di impredicibili eventi naturali o improbabili invasioni aliene, ma per motivi che noi stessi abbiamo prodotto come le armi nucleari, i cambiamenti climatici e l’uso distorto e incontrollato della tecnologia.

A ricordarcelo è il Bulletin of the Atomic Scientists, un’organizzazione indipendente americana fondata nel 1945 da Einstein, Oppenheimer – il fisico la cui storia è in questi giorni pluricandidata agli Oscar – e dagli scienziati dell’Università di Chicago che contribuirono a sviluppare le prime armi atomiche nel Progetto Manhattan. Nacque come risposta di emergenza ai bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, per sollecitare una presa di coscienza collettiva da parte di quella comunità che aveva contribuito a sviluppare ordigni così distruttivi. Bisognava fare i conti con una nuova realtà nella quale l’umanità era diventata in grado di distruggere sé stessa, e fornire all’opinione pubblica gli strumenti per comprendere cosa quelle due bombe significassero per il futuro così da orientare le scelte politiche verso la pace.

Uno strumento efficace per visualizzare i rischi fu l’Orologio dell’Apocalisse, ideato dal Bulletin of the Atomic Scientists nel 1947. Si decise che le lancette dell’orologio sarebbero state fissate a un istante tanto più vicino alla mezzanotte quanto maggiori fossero stati i rischi di una catastrofe planetaria. Un’immagine che rappresentava efficacemente quanto il mondo fosse vicino ad autoinfliggersi la distruzione. All’epoca il timore principale era quello delle armi nucleari. Da allora l’orologio è diventato un indicatore universalmente riconosciuto della vulnerabilità rispetto a catastrofi globali causate dalle tecnologie ideate dall’uomo. Quando fu introdotto si decise convenzionalmente di fissare la lancetta dei minuti a sette minuti dalla mezzanotte. Dal 1947 l’orologio è stato riaggiustato venticinque volte, con il conto alla rovescia che si avvicinava o si allontanava dalla mezzanotte. L’anno in cui le lancette si trovarono più distanti dalla mezzanotte (17 minuti) fu il 1991: la Guerra fredda volgeva al termine, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica firmarono il Trattato sulla riduzione delle armi strategiche per profonde riduzioni degli arsenali nucleari.

Da allora, con l’eccezione del 2010, ogni nuova regolazione ha sempre peggiorato la precedente, fino ad arrivare ai novanta secondi impostati per il 2024 proprio qualche giorno fa. Un valore che conferma quello del 2023. Il che non è un buon segnale, come ha dichiarato Rachel Bronson, direttrice esecutiva del Bulletin: «Attenzione, interpretiamolo correttamente. Reimpostare l’orologio a 90 secondi a mezzanotte non è un’indicazione che il mondo è stabile. Piuttosto il contrario. È urgente che i governi e le comunità di tutto il mondo agiscano». I motivi dell’avvicinamento alla mezzanotte sono molteplici: alle guerre, con il rischio di una escalation nucleare, si aggiungono ulteriori minacce derivanti dai gas serra, dagli attacchi informatici e dall’uso improprio dell’ingegneria genetica e dell’intelligenza artificiale.

Fronti di crisi

Sul fronte militare non solo una pace duratura tra Russia e Ucraina sembra lontana, ma come abbiamo letto in questi giorni ci sono timori di un allargamento del conflitto. In questo scenario l’uso di armi nucleari da parte della Russia rimane una possibilità.

Ci sono armi nucleari tattiche in Bielorussia, e la Russia ha deciso di sospendere la partecipazione al Nuovo Trattato sulla riduzione delle armi strategiche (New Start), ricorda il Bulletin nella nota che accompagna il nuovo “orario”, affermando poi che «i programmi di spesa nucleare nelle tre maggiori potenze nucleari – Cina, Russia e Stati Uniti – minacciano di innescare una corsa agli armamenti nucleari a tre mentre l’architettura mondiale di controllo degli armamenti crolla. Russia e Cina stanno espandendo le loro capacità nucleari e a Washington cresce la pressione affinché gli Stati Uniti rispondano allo stesso modo». Assistiamo poi al peggioramento di altre crisi, con l’Iran che prosegue nell’arricchimento dell’uranio, la Corea del Nord che sviluppa missili e tecnologia, i programmi di India e Pakistan che proseguono e «la guerra a Gaza tra Israele e Hamas che ha il potenziale per degenerare in un più ampio conflitto mediorientale che potrebbe porre minacce imprevedibili, a livello regionale e globale».

Oltre alle armi nucleari a far correre di più le lancette oggi ci sono il cambiamento climatico, le crescenti minacce biologiche e i rischi di un utilizzo incontrollato dell’intelligenza artificiale. Se è vero che essa può avere preziose applicazioni, ha però anche «un grande potenziale per amplificare la disinformazione Gli sforzi di disinformazione basati sull’intelligenza artificiale potrebbero essere un fattore che impedisce al mondo di affrontare in modo efficace i rischi nucleari, le pandemie e i cambiamenti climatici».

L’organizzazione americana sottolinea il timore di una malefica sinergia. Scrive infatti che «la convergenza degli strumenti emergenti di intelligenza artificiale e delle tecnologie biologiche può consentire radicalmente agli individui di abusare della biologia», aggiungendo che «la preoccupazione è che i modelli consentano a individui che altrimenti non avrebbero conoscenze sufficienti di identificare, acquisire e utilizzare agenti biologici che potrebbero danneggiare un gran numero di esseri umani, animali, piante e altri elementi dell’ambiente».

Ambiente che rimane tra le grandi preoccupazioni: «Nel 2023 il mondo è entrato in un territorio inesplorato poiché ha vissuto l’anno più caldo mai registrato e le emissioni globali di gas serra hanno continuato ad aumentare». La nota del Bulletin prosegue: «Il mondo ha investito la cifra record di 1,7 trilioni di dollari in energia pulita nel 2023 A compensare questo, tuttavia, sono stati investimenti in combustibili fossili per quasi un trilione di dollari. In breve, gli attuali sforzi per ridurre le emissioni di gas serra sono assolutamente insufficienti per evitare pericolosi impatti umani ed economici derivanti dai cambiamenti climatici, che colpiscono in modo sproporzionato le persone più povere del mondo».

Il monito del papa

Di fronte a questo quadro sconfortante potrebbe venir voglia di sfruttare i 90 secondi rimanenti per godersi gli ultimi scampoli di vita sulla terra, ballando al suono dell’orchestrina del Titanic. Questo è un rischio tanto grave quanto i precedenti. La rassegnazione è l’opposto di ciò che la metafora dell’orologio dell’apocalisse si propone. Proporre consapevolezza sì, ma per agire in positivo e per dare speranza in particolare ai più giovani. Far tornare indietro la lancetta è possibile e si riassume in una parola: pace. Pace tra i popoli, pace con la natura, nelle relazioni umane piccole e grandi, nell’uso dell’ingegno. Una pace non ingenua e che costa fatica, a volte anche durezza, ma che sia metodo e traguardo della diplomazia.

È qualcosa che deve partire ai massimi livelli mondiali, e infatti il Bulletin auspica che Cina, Russia e Stati Uniti si assumano la responsabilità del pericolo esistenziale che il mondo si trova ad affrontare dato che hanno la capacità di salvare il mondo dalla catastrofe. Ma è anche qualcosa che deve nascere dal basso, col rifiuto di relazioni basate sulla violenza, la promozione della conoscenza, l’attenzione alla diversità. Una pace che, come ha affermato papa Francesco poche settimane fa in occasione della Giornata mondiale della pace, sia «il frutto di relazioni che riconoscono e accolgono l’altro nella sua inalienabile dignità, e di cooperazione e impegno nella ricerca dello sviluppo integrale di tutte le persone e di tutti i popoli». In questa maniera più che un timer di autodistruzione l’orologio diventerà una sveglia che ci desti dal torpore e dalla rassegnazione.

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