Era il 2005, nacque YouTube, venne abolita la leva obbligatoria in Italia, nei cinema uscì l’epico episodio III di Star Wars, Joseph Ratzinger successe a Karol Wojtyła in Vaticano, Francesco Totti e Ilary Blasi si sposarono. E nei playoff NBA di quella stagione, al secondo turno non c’erano in campo né LeBron James (da due anni nella lega), né Kevin Durant (avrebbe debuttato nel 2007), né Stephen Curry (selezionato al draft del 2009). Diciannove anni dopo, le semifinali di Conference cominciano di nuovo senza di loro, ma è la prima volta che succede, in coda a quasi un ventennio nel quale hanno dominato la scena fra Heat, Thunder, Warriors, Cavaliers e Lakers, sempre protagoniste in campionato quando avevano in squadra almeno uno dei tre.

È indubbio che abbiano segnato un’epoca, con LeBron diventato l’unico giocatore a poter concretamente sfidare Sua Maestà Michael Jordan nel dibattito per il titolo di miglior giocatore di sempre, Kevin Durant a rappresentarne la nemesi da realizzatore più completo mai visto sul parquet, Stephen Curry a conquistare a suon di triple il titolo di miglior tiratore della storia, oltre che di innovatore. Dopo di lui il basket è cambiato. Un’epoca di chiude ora in questi play-off, lo scettro del dominio nella migliore lega di pallacanestro al mondo è definitivamente passato di mano.

Come sono usciti di scena

A eliminare dalla corsa all’anello i Lakers di LeBron James sono stati, per il secondo anno consecutivo, i campioni in carica dei Denver Nuggets guidati dal serbo Nikola Jokić, vicinissimo al suo terzo titolo di mvp della Lega, nella quale è ora il conclamato numero 1, il successore del Prescelto al vertice delle gerarchie. Ancora maggiore è stata la prova di forza dei Minnesota Timberwolves, con un rotondo 4-0 rifilato ai Phoenix Suns del terzetto di stelle composto da Devin Booker, Bradley Beal e Kevin Durant, brillante sulla carta, tutt’altro che nella realtà. Mattatore assoluto è stato il 22enne Anthony Edwards, pronto a prendersi sulle spalle il futuro della pallacanestro

a stelle e strisce, protagonista di una crescita continua. Con un momento altissimo toccato tra una giocata mozzafiato e l’altra: in questi play-off è diventato il secondo per visualizzazioni degli highlights sui canali social e digital della NBA, appena dietro LeBron James. C’è riuscito nel momento in cui ha superato nel confronto diretto il suo idolo d’infanzia Durant, rendendolo anche il bersaglio preferito del trash talking. Proprio Durant al termine della serie non ha lesinato parole al miele, per una volta partite da lui e dirette ad Edwards, invece del contrario. In totale 8 sconfitte a fronte di un’unica vittoria in questi playoff: un bottino a cui Stephen Curry non ha dato alcun contributo, eliminato malamente nella corsa a un posto in griglia direttamente nella fase di play-in con i suoi Warriors, al fianco dei compagni storici dei successi nella Baia, ai quali lo scorrere del tempo ha presentato un conto ancora più salato. 

Prossima tappa: Parigi

Il paradosso è che a queste stelle, buttate tutte insieme fuori dai play-off NBA così presto, ora l’America del basket chiede di ritornare insuperabili alle prossime Olimpiadi di Parigi. Gli ultimi due Mondiali (2019 e 2023) hanno detto che se gli USA non si presentano con i migliori, possono perdere dalle squadre europee. Sono rimasti fuori dal podio entrambe le volte. Per le Olimpiadi non hanno voluto correre rischi. Ai Giochi in Francia le stelle ci saranno tutte, ma proprio tutte. Per il riscatto sono stati già selezionati i nomi di maggior peso dell’ultima decade di pallacanestro statunitense, anche se diversi di loro sono alle battute finali della carriera.

I leader saranno proprio quei tre alle soglie dei quarant’anni, James, Durant e Curry, che con la Nazionale hanno avuto rapporti diversi. Se KD ne è diventato il miglior realizzatore di sempre, LeBron ha vissuto la doppia cocente delusione dei bronzi consecutivo alle Olimpiadi 2004 e ai Mondiali 2006, prima di raggiungere un doppio oro olimpico, mentre Curry non è mai stato un grande protagonista. Dovrà esserlo stavolta, insieme agli altri due, sia per l’oro sia per mantenere l’aura di superiorità su un basket extra-USA che continua a produrre le stelle più splendenti della NBA. Negli ultimi sei anni, compreso questo, il premio di miglior giocatore della stagione regolare andrà a un non statunitense. Parigi sarà molto di più un romantico ultimo ballo. 

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