Il fatto che nei due racconti più antichi e conosciuti sull’origine del mondo compaia la stessa parola mi ha intrigato da sempre. Mi riferisco al termine abisso che compare nella Genesi, il primo libro della Torah: «In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque». E si ritrova anche nella Teogonia di Esiodo: «In principio e per primo venne a essere il Caos, e poi Gaia dall’ampio petto...».

Nella traduzione italiana si è perduto quasi completamente il significato originario del termine greco cháos, la cui etimologia si connette con chásma, “apertura, voragine”, e chaínō, “aperto, spalancato”.

Anche in questo caso si parla di un vuoto, di un abisso oscuro e senza limiti. Jean‑Pierre Vernant, uno dei massimi esperti di miti greci, lo definisce «un punto di caduta, di vertigine e di confusione, un precipizio senza fine e senza fondo».

Cháos è l’abisso smisurato, un’apertura immensa, gigantesca, capace di inghiottire tutto. È il più temibile dei nostri incubi che si materializza in questa gola spalancata nella quale si può precipitare all’infinito e che ci conduce nell’illimitato e nell’indistinto.

Mito significa racconto. Fin dai tempi più remoti l’umanità ha sentito l’esigenza di costruirsi una storia sulla quale appoggiare la propria visione del mondo. È nata da qui la grande poesia di Lucrezio, che immagina un universo eterno e immutabile, fatto di vuoto e di atomi che si incontrano e si aggregano per puro caso. O la meraviglia della Cappella Sistina dove un Dio energico e vigoroso anima, col suo tocco delicato e potente, Adam, il primo uomo.

Il fascino esercitato da ogni racconto è vivo ancora oggi. Per verificarlo basta considerare il successo della fiction nei film o nelle serie televisive o raccontare una storia a un bambino. La narrazione risulta ancora oggi essenziale per pensare e per capire.

Il racconto delle origini

Nelle società primordiali, il racconto delle origini costituiva una specie di architrave attorno alla quale si costruiva l’identità delle piccole comunità. L’instaurazione dell’ordine nel mondo, la spiegazione mitica dei fenomeni naturali più terribili era un passaggio necessario perché stabiliva le regole.

Tramite il racconto degli inizi si gettavano le fondamenta dei ritmi che scandivano la vita delle comunità: i cicli del giorno e della notte e l’alternarsi delle stagioni. Il disordine primordiale richiamava la paura ancestrale, il terrore di rimanere preda delle forze scatenate della natura, fossero esse belve feroci o terremoti, siccità o inondazioni.

La natura

Ma quando la natura viene plasmata a seguire le regole ineluttabili dettate da chi ha portato ordine nel mondo, ecco che la fragile comunità umana trova terreno fertile per sopravvivere e riprodursi.

L’ordine naturale si rispecchia nell’ordine sociale, nell’insieme di regole e tabù che definiscono cosa si può fare e ciò che è assolutamente proibito. Se il gruppo, la tribù, il popolo intero si comporterà secondo le leggi stabilite da quel patto primordiale, questo recinto di norme proteggerà la comunità dalla disgregazione.

Dal mito nasceranno costruzioni via via più raffinate e rigorose, che diventeranno religione e filosofia, arte e scienza, discipline che si ibrideranno fra loro fertilizzandosi a vicenda e che permetteranno lo sviluppo di civiltà millenarie.

La scienza moderna non fa che riprodurre questo meccanismo ancestrale. Costruisce un racconto delle origini estremamente dettagliato perché basato su una serie impressionante di verifiche sperimentali. È difficile rivaleggiare con la consistenza e la completezza delle moderne teorie sull’origine dell’universo. Nessun’altra disciplina può fornire spiegazioni più convincenti, verificabili e congruenti con le miriadi di osservazioni prodotte dagli scienziati.

Lo scenario naturale in cui si muove l’umanità perde progressivamente i caratteri magici e misteriosi che l’hanno accompagnato per millenni, e tuttavia la visione del mondo che via via si sviluppa è quanto di più incredibile si possa immaginare.

La scienza ci racconta le nostre origini con una storia molto più immaginifica e potente dei più fantasmagorici racconti mitologici che l’umanità abbia mai prodotto. Perché per costruire questo racconto gli scienziati hanno scandagliato gli angoli più nascosti e minuti del reale, si sono avventurati nell’esplorazione dei mondi più remoti e hanno dovuto fare i conti con stati della materia così diversi da quelli abituali da fare quasi vacillare le loro menti.

L’attualità scientifica

Qui si entra direttamente nell’attualità scientifica più immediata, perché  oggi sappiamo che il nostro universo è nato 13,8 miliardi di anni fa e che tutto ha avuto inizio da una minuscola, quasi impercettibile, fluttuazione quantistica del vuoto.

Attenzione, quando diciamo che in principio c’era il vuoto stiamo parlando di un sistema materiale, qualcosa di radicalmente diverso dal nulla, per certi versi, anzi, quasi l’opposto del nulla.

Quando si rivolge alla figlia Cordelia il Re Lear di Shakespeare fa un’affermazione perentoria, che rimane tuttora vera: «Da nulla nasce il nulla». Il vuoto è tutt’altra faccenda e ha a che fare con il Caos, l’abisso che compare nella Teogonia di Esiodo.

Lo stato di vuoto è uno stato materiale in cui sono nascoste, accoppiate fra loro, tutte le forme possibili di materia e di antimateria. Seguendo regole precise, determinate dalla meccanica quantistica, dal vuoto possono fiorire spontaneamente stati materiali effimeri, che compaiono e scompaiono obbedendo al principio di indeterminazione.

Il vuoto è un enorme giacimento contenente un’infinita quantità di stati materiali che ribollono e fluttuano in continuazione. Meccanismi puramente casuali possono trasformare una di queste fluttuazioni in un gigantesco universo materiale che si svilupperà per miliardi di anni.

Una metamorfosi del vuoto

Il nostro universo nasce da una metamorfosi del vuoto, è un universo che si auto-genera perché si tratta ancora di uno stato di vuoto che ha semplicemente cambiato forma.

Questa è stata la sorpresa maggiore degli ultimi quarant’anni. Scoprire che il nostro universo è uno stato di vuoto, semplicemente perché ha le stesse caratteristiche fisiche, quelle che noi chiamiamo numeri quantici: carica nulla, momento angolare nullo, energia totale nulla. Dietro quest’ultimo elemento, in particolare, si nasconde il segreto della sua origine. 

L’enorme struttura materiale che ci ospita e di cui noi stessi siamo parte, ci appare come un insieme di elementi eterogenei: piante, rocce, pianeti, stelle e così via. Ma tutto può essere ridotto a due ingredienti molto semplici.

Se si volesse scrivere la ricetta per fare un universo basterebbe una sola riga: mescolate bene assieme spazio-tempo e massa-energia. Cos’altro sono le stelle, i pianeti, le nubi di polveri e di gas che popolano le centinaia di miliardi di galassie che compongono l’universo se non distribuzioni di massa, cioè forme di energia particolarmente concentrata, distribuite in un sottile tessuto materiale che le avviluppa, appunto lo spazio-tempo? L’affermazione rimane valida quando si considera, nella composizione dell’universo, ogni tipo di radiazione e persino quelle strane forme di massa ed energia chiamate oscure perché della loro composizione non sappiamo ancora nulla, e che ne dominano la struttura materiale.

Così avrete un universo

Distribuite massa-energia nello spazio-tempo e avrete un universo. Non vi aspettate che sia stabile e spettacolare come quello che abbiamo intorno a noi, ma, a tutti gli effetti, sarà ancora un universo.

La ricetta è semplice ma nasconde un segreto meraviglioso. Perché per produrre dal vuoto massa-energia bisogna avere a disposizione dell’energia positiva. Ma quando si distribuisce massa-energia nello spazio-tempo esso si riempie di energia negativa, perché la massa-energia lo deforma e tutto viene attratto da tutto il resto. La gravità riempie lo spazio-tempo e lo ingravida di energia negativa, esattamente quella che è stata necessaria per estrarre dal vuoto la massa-energia. Insomma, un universo, miscela di spazio-tempo e massa-energia, è ancora uno stato di vuoto: la sua energia totale è nulla.

Questo risultato, che è stato ottenuto producendo una quantità impressionante di misure di precisione, è stata un’enorme sorpresa anche per noi scienziati. Perché nella teoria tradizionale del Big Bang, fino a pochi decenni fa, si immaginava un qualche meccanismo che avrebbe concentrato in un punto singolare, 13,8 miliardi di anni fa, un’immensa quantità di energia. Se fosse stato così gli scienziati avrebbero dovuto identificarne la dinamica. Da dove prendeva origine tutta quell’energia? Quale meccanismo fisico la produceva?

Ma se l’universo nel suo complesso ha energia nulla, se è ancora uno stato di vuoto, non c’è più bisogno di ricercare una dinamica. Tutto è nato casualmente. La scienza moderna ci dice che l’universo è una trasformazione spontanea dello stato di vuoto. Una minuscola fluttuazione quantistica del vuoto può trasformarlo in un meraviglioso universo materiale.

Dopo aver rotto il pregiudizio di un universo eterno e immutabile, che aveva resistito addirittura alle prime formulazioni delle equazioni di Einstein, con l’universo che nasce dal vuoto e che è ancora uno stato di vuoto si compie un ulteriore salto.

Quel pregiudizio di consistenza e persistenza che per millenni gli umani hanno attribuito alle grandi strutture materiali che ci circondano viene radicalmente messo in discussione dalla scienza contemporanea.

La materia, tutta la materia, anche quella che si presenta in forme maestose, talmente meravigliose da spingere i nostri lontani progenitori a divinizzarle, la madre Terra, la Luna, il Sole e tutte le innumerevoli stelle che popolano i cieli non sono altro che manifestazioni stupefacenti di uno stato di vuoto.

E qui si ritrova qualcosa di quelle antiche parole che compaiono nei primi racconti delle origini. Nella visione dell’origine dell’universo prodotta dalla scienza contemporanea riecheggia in lontananza l’abisso, il Caos primordiale, la gola spalancata nel vuoto senza limiti, né fondo.

da Sotto il vulcano 8 Gli inizi a cura di Valeria Parrella, Feltrinelli

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