Con l’avvicinarsi dell’anniversario della morte, si torna a parlare di Berlusconi. Il francobollo commemorativo promosso da Forza Italia e approvato dal governo è notizia di questi giorni. E idealmente si accoppia all’uscita odierna della miniserie Netflix Il giovane Berlusconi.

Oltre ad avere prodotto epigoni in scala minore, Berlusconi è sempre presente nella politica italiana e appartiene al nostro immaginario collettivo. Ed è sul ripercorrere questo immaginario che lavora un breve pamphlet di Andrea Minuz (C’eravamo tanto odiati. Breve storia dell’antiberlusconismo, il Mulino 2024).

Icona pop

Da storico del cinema, Minuz offre un punto di vista privilegiato, impossibile da riprodurre nelle pur doverose analisi politiche: Berlusconi è stata la nostra più grande icona pop degli ultimi decenni. Un’icona pop volontaria, sfacciata e trasversale.

Il volume ricorda, con schizzi impressionistici, pezzi emblematici del Berlusconi fenomeno transmediale attraverso lo sguardo allucinato dei suoi oppositori di professione. Ripercorrendo i nostri ultimi trent’anni, Minuz contrappone al caleidoscopio scintillante di Berlusconi l’ossessione dell’anti-berlusconismo professionale che fece dell’opposizione a Berlusconi una ragione di vita.

Il volume propone una sorta di carrellata per immagini di una storia arci-italiana di incomprensione unilaterale: chi presumeva di avere gli strumenti per capire la situazione – il partito degli intellettuali secondo una formula fortunata di Pierluigi Battista – in realtà non capiva le ragioni di una grossa parte degli italiani, derubricandole come mere illusioni manipolate dalla televisione.

Minuz dà il suo meglio quando evoca il grottesco di un’opposizione tanto militante e totale, quanto snobistica e incapace di capire il radicamento del fenomeno Berlusconi. Il movimento dei girotondi, così come altre forme di opposizione sociale, se ricordati oggi, possono evocare tenerezza o imbarazzo. Invece, in Minuz provocano sdegno e fastidio nel mostrarsi forme di presunzione moralistica che, nel condannare Berlusconi, condannavano anche gli elementi popolari della società dei consumi rappresentata, ma non certo inventata, da Berlusconi.

Minuz, onestamente, dichiara la propria posizione politica al riguardo. Non sopportando il rifiuto totale dell’anti-berlusconismo militante, si professa anti-anti-berlusconiano. In nome di una sorta di tolleranza democratica - sostiene - non si può rifiutare ogni aspetto del proprio avversario politico sino a rifiutare l’esistenza stessa di molti concittadini che esplicitamente o silenziosamente lo hanno votato.

Proteiforme

Questa posizione, in fondo non nuova, è arricchita dal divertimento di rievocare immagini oggi incredibili, il cui shock è difficile da comprendere per chi non le ha vissute. Il Berlusconi delle corna ai vertici internazionali e degli scandali sessuali. Ma anche il Berlusconi oggetto di un vero e proprio culto personale non dissimile da quello dei santi più popolari.

Ma il problema del rievocare il significato culturale di Berlusconi non sta tanto nell’impossibilità di darne una forma chiusa: troppo proteiforme e faustiano per essere racchiuso in una formula. Sta, piuttosto, nell’implicazione pratica della posizione anti-anti-berlusconiana.

Pur partendo da alcune ragioni (la presunzione e l’elitarismo dell’anti-berlusconismo), l’anti-anti-berlusconismo non fornisce una vera alternativa. Ovviamente cerca di non appiattirsi sul berlusconismo vero e proprio (chi lo farebbe al giorno d’oggi?). Ma culturalmente non si libera da una stagione tossica troppo lunga.

Ripropone, infatti, uno schema di opposizione, pur dicendo di astenersi dalla vecchia contrapposizione. Al livore degli anti-berlusconiani contrappone un risentimento lungamente represso che gode nel sentirsi dalla parte giusta della storia per il fallimento di un anti-berlusconismo moralista e in fondo conservatore.

Le ossessioni

Il difetto sta proprio nel prendere per buona un’opposizione assoluta anche quando si pretende di denunciarla. L’anti-anti-berlusconismo cade quindi nella riabilitazione del fenomeno culturale berlusconiano, pur dicendo di voler rifiutare tanto il berlusconismo quanto l’anti-berlusconismo militante.

Infatti, l’alternativa alla polarizzazione antropologica posta dall’anti-berlusconismo non sta tanto nella posizione proposta da Minuz, quanto nel comprendere che ci furono tanti anti-berlusconiani non ossessionati, quanti non allarmati da Berlusconi pur non essendo propriamente berlusconiani.

Non si tratta qui di identificare un grande centro, esistente ormai solo menti di partitini governati da piccoli emuli del grande Silvio. Si tratta, piuttosto, di capire che vi furono molti che non vi si opposero pur non amandolo, così come tanti che furono fermamente contrari senza essere quelle macchiette fuori dalla storia che descrive Minuz.

Il populismo mediatico

Il volume, nel riabilitare la televisione commerciale, fa una cosa oggi non controversa. L’avvento dei social ha spazzato via un dibattito ormai vecchissimo. La presenza di personaggi dai tratti berlusconiani ma ancora più inquietanti (su tutti Trump) dovrebbe aiutarci a comprendere il fenomeno politico e culturale di Berlusconi in un senso più ampio: non una colpa dell’atavica arretratezza italiana ma l’emergenza precoce del populismo mediatico che ora affligge quasi tutto il mondo.

In definitiva, questo volume, pur contenendo pagine divertenti di memoria iconografica, è un’occasione perduta. Berlusconi, giustamente, sarà sempre divisivo. Ma una storia per immagini del fenomeno Berlusconi attraverso l’ossessione dell’anti-berlusconismo avrebbe potuto giocare solo sul registro grottesco, vero elemento in comune tra berlusconismo e anti-berlusconismo. E invece vuole prendersi una rivincita. Troppo facile al giorno d’oggi.

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