C’è un ragazzo di diciassette anni che ci parla. Lo fa con la voce illuminata dal fomento di tutta una vita davanti, con la nuca bruciata dal sole di un agosto del 1991, con le gambe martoriate dai chilometri percorsi in un’odissea autostradale autoinflitta.

C’è un ragazzo di diciassette anni che ci parla, palpitando tra le pagine di un libro. Un ragazzo che si chiama Daniele, un libro che si chiama Sempre tornare (Mondadori, 2021).

È proprio in questa voce il segreto dell’opera terza di Daniele Mencarelli. In quella voce avviene la magia più antica: quella che lega chi scrive alla persona che legge. Perché, come in tutte le storie che vale la pena di raccontare, questo romanzo obbliga a stare in ascolto: ogni accadimento narrato pare nascondere un messaggio più profondo e prezioso.

Quella voce che racconta ci spinge ad aguzzare gli occhi sulle pagine, per non perderselo. Le parole incantate del giovane protagonista seguono alcuni suoi giorni cruciali, e nel farlo svelano che la vita è un intrecciarsi di volti e incontri, di drammi personali e plurali, di risate fresche e gioie spaccacuore.

Sempre tornare è un libro che ci mostra qualcosa che ci è sempre attorno – che è l’essenza stessa delle nostre vite – ma che soltanto attraverso certa letteratura possiamo davvero osservare con lucidità, con stupore.

Fuga dalla realtà

Terzo capitolo di una sorta di biografia a ritroso – preceduta dall’esordio del Mencarelli narratore La casa degli sguardi (2018) e dal romanzo Premio Strega Giovani Tutto chiede salvezza (2020), tutti editi da Mondadori – Sempre tornare sancisce definitivamente la centralità di questo autore nell’ampio e complesso contesto della letteratura circostante.

Il romanzo racconta una sequenza di giorni agostani del giovane protagonista (che si chiama come l’autore) che, dopo un ferragosto passato in una discoteca della riviera romagnola, decide di abbandonare il gruppo di amici con cui aveva organizzato quella trasferta vacanziera così tipica dei primi anni Novanta.

Daniele decide di non tornare nella natìa Ariccia con l’auto dei compagni di viaggio, ma a piedi, spinto da un avvenimento minimo ma per lui profondamente traumatico (un trigger, una crepa piccola ma che si espande nella psiche, simile a quelli che abbiamo già incontrato nelle precedenti prove dell’autore).

Spiazza tutta la comitiva e si mette dunque in marcia, nel torrido di un’autostrada da estate italiana – dimenticando (chissà, freudianamente?) documenti e denaro nello zaino di uno degli amici.

Passo dopo passo sull’asfalto tremendo e nella luce abbacinante, quegli stessi primi compagni di viaggio si faranno sempre più distanti, permettendo a Daniele di realizzare il suo piano di fuga dalla realtà.

Da quel momento il ragazzo incontrerà una sequela di personaggi indimenticabili, tessendo grazie a loro un intreccio di un libro che è un po’ romanzo di formazione, un po’ romanzo di viaggio, sempre in bilico tra un discorso generazionale e la mappatura di un paese alle prese con mutazioni sociali che durano ancora adesso.

Un giovane figlio di una famiglia ricchissima crea in Daniele una rabbia esplosiva, un contadino vedovo gli insegna la pace del fuoco; dei delinquenti (come moderni Gatto e Volpe) lo costringono a sentire l’odore del sangue; si lancia nella vertigine immensa dell’innamoramento, trovato negli occhi troppo belli di una coetanea che non riesce a vivere – e nessuno lo può insegnare.

Sempre tornare deve proprio a questa rete di incontri, che stratificano la vicenda, il suo motore prezioso: gonfiano la storia fino a farla esplodere. Il cuore di Daniele, incontro dopo incontro, cambia, muta, sboccia. Questo suo viaggiare assurdo, tra fatiche immani e sete perenne, tra sudore e fame, tra pericoli e incanti, è tutto un modo per portare a termine un giro di boa: allontanarsi tanto, attraversando l’ignoto, per potersi finalmente ritrovare.

Metafora del viaggio

Perché Daniele fa questa scelta? Perché decidere di viaggiare in autostop da Misano Adriatico ai Colli romani in pieno agosto? Senza cellulari, senza denaro, senza carta d’identità. Perché?

La risposta è già parzialmente nel titolo: ci sono parentesi della vita, nodali, durante le quali è necessario tornare, ma tornare davvero, compiendo un percorso a ritroso che conduca verso quel luogo (quel volto) che consideriamo casa. Daniele, a diciassette anni, scopre l’urgenza di questa azione, e non può fare a meno di mettersi in moto – nella maniera più insana possibile, che è la stessa della genealogia di celeberrimi viaggiatori assurdi e poetici che hanno calpestato le vie della letteratura (da Dante a Pinocchio, da Ulisse a Kerouac) per trovare nel viaggio la metafora condensata di ogni nostro cambiamento.

L’espediente del racconto biografico, tra memoir e autofiction, in Mencarelli è utilizzato in maniera tanto tradizionale e ineccepibile da stordire: i suoi romanzi generano un senso di famigliarità, ma al contempo si ha la sensazione di leggere qualcosa che non era mai stata pensata prima di quelle pagine.

In queste opere, e in quest’ultima in particolare, non c’è soltanto la tensione commovente verso l’auto-analisi dei propri moti interiori, e non c’è nemmeno solo il resoconto crudo di ciò che accade nel mondo narrativo. Non c’è solo trama e non c’è solo emotività, dunque: nei libri di questo autore sussistono in perfetta alchimia entrambi i piani. L’impalcatura dei suoi libri è in un costante equilibrio tra personaggi indimenticabili che si muovono creando una storia, e un lirismo capace di cristallizzare le emozioni più universali – divorando dall’interno chi scrive e chi legge.

Sempre tornare sembra un testo che non è stato solo scritto, ma emesso, lanciato, sparato come un fuoco pirotecnico nella costellazione delle scritture contemporanee: inaspettato, ma senza la posa o la pretesa di rompere con qualcosa che già conosciamo; limpido, ma mai inutilmente vistoso; memorabile, ma senza artifici, semplice e miracoloso come il gesto di scrivere, o come quello di respirare.

C’è un ragazzo di diciassette anni che dall’estate del 1991 ci parla, e c’è uno scrittore che ci porta la sua voce: nel libro più trasversale che si possa leggere, con una delle penne più intense e vere degli ultimi anni.

© Riproduzione riservata