A dimostrazione del fatto che il talento sia il bene meno democratico, c’è chi dalla vita ha avuto tutto - amore e dolori, successo e silenzi - e ha saputo anche che cosa farne. Ornella Vanoni è stata molte cose nella sua lunga vita, che è terminata all’improvviso, a 91 anni, nella città in cui era nata, Milano

Di lei si può raccontare partendo dai luoghi: Milano appunto, di cui ha fatto da colonna sonora cantando le “canzoni della mala”. O dagli amori di cui è stata musa: Giorgio Strehler, all’epoca sposato e di vent’anni più vecchio di lei, che le cucì addosso un’identità artistica che lui già vedeva, o Gino Paoli, che ha una pallottola ancora nel cuore, anche se ha sempre detto che non se l’era sparata per lei. O ancora dalle canzoni che non solo hanno fatto un’epoca, come “L’appuntamento”, ma soprattutto hanno fatto un modo d’essere.

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In un’epoca di artiste che rivendicano l’esserlo sempre state, lei - con civettuola sincerità - di sé ha sempre ammesso che «sono stata una ragazza inventata. Inventata dagli altri. Di mio avrei voluto fare l'estetista, niente di più. Avevo l'acne e avrei voluto curare la pelle, la mia e quella degli altri». Invece si iscrisse al corso di recitazione del Piccolo, il teatro milanese di Strehler, recitò terrorizzata un pezzo dell’Elettra e venne presa.

Ornella Vanoni era nata attrice, cresciuta cantante, invecchiata intrattenitrice: forse una delle ultime artiste che era bello ascoltare parlare quanto sentir cantare. Del resto lei, ai suoi concerti, chiacchierava eccome: tra una canzone e l’altra, col suo accento milanese ostentato ad arte. Raccontava aneddoti di canzoni e incontri, faceva battute osservando il pubblico, spiegava perché aveva scelto di fare una determinata cover e nella maggior parte dei casi si trattava di pezzi che mai le avresti associato.

Come “Losing game” di Amy Whinehouse, che infine cantava con la stessa dolcezza de “La musica è finita” e insegnava al pubblico ancora una volta che non sono le canzoni e nemmeno la musica, sono le storie che parlano e non hanno età. 

La televisione

È per questo che oggi la piangono sui social artisti di cinquant’anni più giovani di lei, che le sue canzoni potrebbero averle al massimo ascoltate a Sanremo nella serata cover e invece sanno chi è: l’Ornella, quella che è andata ad Amici due settimane fa e seduta vicino a Maria De Filippi ha spiegato al ragazzino al piano che se canta con la bocca troppo vicina al microfono la voce fa eco, e che lui deve sovrastare il suono dello strumento, se vuole che il sentimento arrivi.

E così su Instagram scorrono i post di Emma, Elisa, Mahmood, Elodie, Marracash e le loro sono parole sincere, fatte sì di cuoricini, emoji, ma soprattutto di fotografie insieme. Non le classiche foto col morto di giornata, ma momenti in cui artisti di un altro secolo hanno condiviso il palco con la più brava di quello passato e, forse, hanno imparato qualcosa.

Del resto, almeno dieci edizioni di talent l’hanno ospitata e giovanissimi hanno applaudito l’anziana signora dai capelli rossi, un po’ piegata dal tempo e apparentemente svagata, che però quando commentava diceva sempre la cosa più cattiva, più precisa e più giusta. Una madrina quasi, capace di non farsi mettere in cornice insieme a tutte le dive della sua epoca, ma di vivere ogni presente come se fosse il suo.

Proprio la televisione, nell’ultimo tempo della sua vita, le ha ridato un palcoscenico e soprattutto un nuovo successo che lei chissà se cercava, ma certamente ha trovato. Lei, che di televisione ne aveva fatta moltissima negli anni Sessanta e Settanta, quando ancora le trasmissioni di intrattenimento si chiamavano “varietà” – Studio Uno, Senza rete, Fatti e fattacci per citarne solo alcuni – con il nuovo millennio ha riportato quella stessa verve a un pubblico che era quello dei suoi nipoti. 

Tutto è cominciato con l’imitazione di Virginia Raffaele, che ne prendeva in giro le dimenticanze su con quanti colleghi fosse andata a letto. Tutto è finito con lei ospite fissa da Fabio Fazio, a fine settimana alterni, a Che tempo che fa, l’ultima volta a inizio novembre.

Nel mezzo c’è stato un Sanremo in coppia con Bungaro e Pacifico, con il brano che sembra il racconto della sua vita: “Imparare ad amarsi”, con il verso «Conservo l’infanzia/ La pratico ancora/ La seduzione mi affascina sempre». 

L’ultimo suo regalo alla musica, invece, è stato il duetto con Mahmood, “Sant’allegria”: tutto è lì, anche il passaggio di testimone.

La musica

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La musica, del resto, è sempre stato il suo vero innato talento, anche se lei all’inizio non lo sapeva. Vanoni è stata artista nel saper essere musa per altri, nell’ispirare compositori che per lei hanno composto pezzi che nessun’altra avrebbe saputo cantare così.

Dal cantautorato alla musica popolare fino al jazz, la sua cifra è stata quella della malinconia sensuale. Diversa da tutte, considerata la più raffinata tra le interpreti italiane, proprio il suo provenire dal teatro ha dato alle sue interpretazioni qualcosa che ha sempre avuto più a che vedere con la recitazione che con il solo cantato.

Interprete di canzoni perfette scritte per lei da altri, figlie di amori come quello con Strehler e Gino Paoli che per lei compose “Senza fine” e “Che cosa c’è”, è stata per lui generosa compagna di viaggio. 

Proprio la generosità artistica di Vanoni - lei che ha sempre riconosciuto il merito agli altri di averla scoperta - è stata la cifra della sua carriera. A differenza di tante sue colleghe della generazione d’oro della musica italiana, Vanoni non ha mai pensato alla musica né al suo repertorio come qualcosa di cristallizzato nel tempo: sempre in evoluzione, in cerca di nuove sonorità e voci, ha cantato e ricantato i suoi brani (in quattro LP dal titolo “Oggi le canto così” ricanta tutto il suo repertorio, nel 1979) offrendoli anche ad artisti giovani e anche sconosciuti. 

Del resto, lei non ha mai smesso di cantare: anche da seduta per il peso degli anni, anche con la voce leggermente più bassa, forse un poco più tremula. Non c’era volta che, in televisione, non accennasse il ritornello di un suo brano.

Musa e artista, Vanoni è stata anche autrice dei suoi brani: se per lei scrivevano in chiave malinconica, lei per se stessa scriveva l’allegria. “Vai, Valentina”, del 1981, è un dialogo tra donne - una matura e divertita e una più giovane e ingenua - sull’amore e la necessità di vivere con pienezza la vita, seguendo il proprio istinto. Ciò che Ornella Vanoni ha fatto sempre.

Ora che anche lei ha lasciato per sempre il palcoscenico, ha lasciato non certo nuove eredi, ma certamente moltissime ammiratrici. E dopo le giuste commemorazioni, si riavvolgerà un nastro di vita che è stata bella e tragica, lunga e condivisa. Per il suo funerale, nel suo testamento recitato ridendo in studio da Fazio, ha chiesto una bara economica, un vestito di Dior già scelto e le ceneri in mare.

Tanto lei è già altrove a correre «come corre il lampo. Che se la pelle te la strappa una spina, ahi, Valentina, non è il dramma che pensi tu».

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