Vi ringrazio tantissimo per questo invito, e per la laurea ad honorem di cui mi insignite. Non è necessariamente migliore di quella che mi sono guadagnato frequentando i corsi e cacciandomi in un mare di debiti, ma prima di morire voglio collezionarne il maggior numero possibile, perciò provo una grande riconoscenza. E faccio le mie congratulazioni a tutti i laureati! È un gran traguardo.

Come molti di voi, sono enormemente grato dell’istruzione che ho ricevuto: una buona scuola pubblica, seguita dagli studi al college. Mi sono iscritto a tre facoltà diverse, in cerca di quella a me più congeniale. Le prime due erano ottime, direi, ma a un certo punto, durante il secondo anno, cominciai a fare pesantemente uso di droghe e abbandonai gli studi.

Belle arti

Pensavano tutti che il mio destino fosse segnato: avevo commesso un errore irreparabile a soli vent’anni, e non sarei mai più riuscito a rimediare. E invece ce l’ho fatta. L’istituto in cui ho finito per laurearmi, la School of the Art Institute di Chicago, aveva i suoi pregi, ma niente a che vedere con la Oberlin, ad esempio, a livello accademico.

Ora, magari, le cose saranno cambiate, ma nel 1984 se sapevi disegnare Snoopy su un tovagliolino di carta venivi ammesso. Presi la mia laurea in belle arti nel 1987, a trent’anni. Il discorso alla consegna dei diplomi fu tenuto da Vito Acconci, un artista concettuale. Aveva realizzato molte opere, ma era noto soprattutto per aver costruito una pedana di legno in una galleria di New York, sotto la quale si era poi nascosto, andando avanti a masturbarsi per diverse settimane senza tregua.

«Be’, questa è una cosa che potresti fare tu» disse mia madre quando le spiegai chi era Acconci. «Insomma, non è questo l’obiettivo? Fare qualcosa che ti piace e ricavarne dei soldi!». Credo che mia madre non abbia capito una sola parola del discorso di Acconci. E io stesso non sono sicuro di averci capito qualcosa. Preparandomi per questa occasione, mi sono domandato che cosa avrebbe potuto dire all’epoca il relatore, per riuscire ad avere una qualche influenza sul mio futuro.

Ho concluso che la mia vita dopo il college sarebbe stata, in ogni caso, pressoché identica a quella che avevo condotto nel decennio precedente: qualche lavoretto intellettualmente poco impegnativo, per poi tornare a casa a occuparmi delle mie cose. Era la vita che facevano la maggior parte dei miei amici e metà della mia famiglia.

Mia sorella Gretchen ha studiato pittura alla Rhode Island School of Design, mentre Amy è andata alla Second City Film School. Non avete idea di quanto ci abbia assillato nostro padre per queste scelte. «L’arte e la comicità sono belle e importanti finché volete, ma dovete trovarvi un mestiere su cui ripiegare» diceva.

È un concetto che sento ripetere spesso dai genitori che incontro ai firmacopie dei miei libri. «Nostra figlia è un’aspirante scrittrice, e a noi va bene, ma deve trovarsi anche un mestiere su cui ripiegare».

«Quindi non è tanto brava come scrittrice, giusto?» domando.

«No, non è questo».

«È pigra? Non ha dato segni di miglioramento da quando

ha cominciato?».

«No, no» dicono i genitori. «È bravissima, e scrivere è l’unica cosa di cui le importi».

«Che bisogno ha, allora, di un mestiere su cui ripiegare?» domando io. «Volete dire che non avete fiducia in lei anche se non ha avuto ancora l’occasione di dimostrare le sue capacità?».

È una domanda capziosa, la mia, perché insinua il dubbio che i genitori non sostengano la figlia nelle sue aspirazioni. Loro, più semplicemente, non vogliono che la figlia faccia la fame, o che soffra per le porte chiuse cui si troverà di fronte. Secondo me, però, ci sono molte cose ben peggiori.

Avere 22 anni

A ventidue anni voi siete fatti apposta per sopportare l’indigenza e il rifiuto. E volete sapere perché? Perché siete belli. Forse non ne siete convinti, in questo momento, ma fra trent’anni guarderete le fotografie scattate oggi e penserete: “Perché cazzo nessuno mi ha detto che ero così attraente?”.

Ora forse non vi sembrerà così, perché magari vi confrontate con chi avete accanto o con chi è seduto due file più avanti. Vi assicuro, però, che siete stupendi. E lasciate che vi dica un’altra cosa: quando sarete in punto di morte, o quando avrete, poniamo, sessantun anni, il periodo che ricorderete con più tenerezza non sarà quello in cui avete comprato il vostro primo Picasso, una piccola natura morta del 1921, a un’asta di Sotheby’s – ammesso che come me decidiate di fare cose del genere –, bensì quello successivo alla laurea, la prima vera occasione di assaporare la vita adulta, quando tutto sembrava ancora possibile.

Poi, magari, niente sarà andato secondo i piani, ma voi ci credevate ancora, anzi, ne eravate convinti.

Magari eravate in bolletta e stavate in qualche appartamento malconcio, ma era il vostro appartamento, e voi eravate belli. Insomma, quel che intendo è che i prossimi anni potrebbero essere i migliori della vostra vita. Non sprecateli.

“Ma come si fa?” vi starete domandando. Be’, io pensavo di consigliarvi di non aver fretta di scegliere. «Aspettate a diventare adulti. Prendete una decisione azzardata e, comunque vadano le cose, non tornate nella vostra città natale. Soprattutto, non tornate ad abitare con i vostri genitori».

Ma chi sono io per dire una cosa del genere a un ventiduenne che ha un debito di centoventimila dollari? Non so se la vostra generazione godrà del lusso di andare a zonzo per il mondo, provando un po’ di questo e un po’ di quello. Come si fa a trovare sé stessi quando, prima ancora di cominciare, si è sommersi dai debiti? Quel consiglio, insomma, lascia un po’ a desiderare.

Lista dei consigli

Queste, però, sono alcune delle cose che posso dirvi con certezza. Uno. Se dovete comprare delle candele profumate, fate molta attenzione. Ci sono solo due marche di candele profumate che meritano davvero: Trudon e Diptyque. “Non posso permettermele!” starete probabilmente pensando. “Ho centoventimila dollari di debito per la mia laurea in storia della danza.” E allora io dico: «Va bene, farete a meno delle candele profumate finché non potrete permettervele o finché qualcuno non ve le regalerà».

Due. Trovate una cosa che vi fa indignare veramente tanto, più ancora delle decine o forse centinaia di cose con cui siete già alle prese.

Tre. Difendete con fermezza le vostre convinzioni, a patto che siano anche le mie. Sono al cento per cento solidale con chi tra voi è favorevole a vietare i fucili d’assalto. Combattete in prima linea, metteteci tutto il vostro impegno e tornate vincitori. Evitate, invece, di firmare petizioni per far rimuovere dal Metropolitan Museum un dipinto di Balthus perché si vedono le mutandine della ragazza ritratta. L’obiettivo è avere in comune con i talebani il meno possibile, non il contrario.

Quattro. Siate voi stessi. A meno che non siate degli stronzi. “Come faccio a sapere se sono uno stronzo?” vi starete probabilmente domandando. Be’, fateci caso: la gente vi evita? Ogni volta che dovete parcheggiare o che andate alla lavanderia a gettoni finite per litigare con qualcuno? Vi faccio un esempio. Non per vantarmi, ma negli ultimi anni ho collaborato con un’associazione che si chiama Love Hope Strenght, il cui scopo è trovare gente disposta a donare il midollo osseo, e la cosa che più mi piace è che mi hanno autorizzato a mentire spudoratamente sul loro conto. «Se firmate», promettevo al pubblico presente ai miei reading, «potrete andare a letto con il familiare più attraente, maschio o femmina che sia, del paziente bisognoso del trapianto… Giovane o vecchio che sia, per legge non potrà rifiutarsi.»

La donazione del midollo osseo non avviene lì in teatro, ovviamente. In quella sede ci si limita a compilare un modulo e a farsi prelevare un campione biologico dall’interno di una guancia. È difficile trovare soggetti compatibili, ma succede. Spiego al pubblico che l’età massima per poter donare il midollo è cinquant’anni, e poi annuncio che chi ha intenzione di iscriversi a Love Hope Strenght può saltare la fila del firmacopie. È così che si trovano i donatori. Se i presenti in sala sono, poniamo, duemila, circa cinquanta persone abboccheranno all’amo. Non sembrerà granché, ma in realtà è un buon risultato: se si ripete l’operazione in quaranta città diverse, la cifra diventa significativa.

Un giorno ero a Napa, California, e una donna, che poteva avere sessantacinque anni, mi accusò di ageismo, cioè di discriminare in base all’età, e minacciò, se non l’avessi fatta passare in testa alla fila, di denunciare l’organizzatore dell’evento e di portarlo in tribunale. La sala in cui ci trovavamo era abbastanza piccola. C’erano venti persone che avevano firmato per donare il midollo osseo. Avevo detto al pubblico che non sarebbe stato per niente doloroso e che, anzi, avrebbero potuto sottoporsi all’intervento mentre facevano sesso con la persona prescelta tra i familiari del paziente.

Questa è la bugia più grossa di tutte, perché in realtà il prelievo del midollo è una procedura dolorosissima. Insomma, c’erano lì venti persone disposte a sopportare un enorme disagio, e non per fare del bene a una persona cara, bensì per salvare eventualmente la vita a un perfetto sconosciuto. Questo, secondo me, è vero eroismo.

E quella donna arriva a minacciare una denuncia se non la faccio passare davanti a tutti. In altre parole, prende il suo egoistico desiderio di tornarsene a casa il prima possibile e lo traveste da lotta contro un’ingiustizia. Ecco, questa è una stronza: la persona che non vorreste mai essere. Sulla sua copia del libro scrissi: «Sei una persona davvero orribile». E lei scoppiò a ridere, pensando che io scherzassi. Questo è il problema, quando si scrivono cose umoristiche: la gente pensa sempre che tu stia scherzando. «Lo penso davvero» le dissi. «Sei odiosa.» E lei rise ancora più forte.

Cinque. Tenete sempre pronta qualche barzelletta da raccontare. Torna utile in caso di incontri informali, ed è probabile che non guasti neppure nei colloqui di lavoro, anche se dipende dal tipo di lavoro, credo. Sentite questa: me l’ha raccontata il mio amico Ronnie, ed è di attualità, breve e facile da memorizzare:

È notte, e un poliziotto ferma un’auto con due preti a bordo.

«Sto cercando due pedofili» dice.

I preti ci pensano su un attimo e poi rispondono: «Va bene, veniamo noi!».

Sei. L’ultimo consiglio che vi offro lo seguiranno in pochi, lo so, ed è un peccato, perché non è meno importante di quello sulle candele profumate.

Eccovelo: scrivete lettere di ringraziamento. A livello pratico, è una cosa di buon senso. Alle persone piace fare cose per chi poi dimostra riconoscenza. Mettiamo che vostra nonna vi dia cento dollari come regalo di laurea. Anche ammesso che lei abbia otto nipoti che sono o saranno nella posizione in cui vi trovate voi ora, posso assicurarvi che la vostra sarà l’unica lettera di ringraziamento – non una e-mail né un SMS né un messaggio su Facebook, ma una lettera vera e propria con tanto di francobollo – che vostra nonna riceverà. E le farà un piacere immenso.

Poi, passati alcuni mesi, potrete scriverle ancora, per dirle che avete appena speso l’ultima parte del denaro che vi aveva mandato. «Sono stato da Goodwill a comprare un vestito che metterò domani per il mio colloquio di lavoro», potreste dirle. «Spero che le macchie marroni sul sedere vengano via con il primo lavaggio, e per le chiazze sotto le ascelle vedremo. Mentre pagavo, ho pensato a quanto sei sempre stata gentile con me, e a quanto sono fortunato ad avere una nonna come te».

C’è un 80 per cento di probabilità che vi mandi altri soldi. Non perché li avete chiesti, ma per la vostra gratitudine. Ho parlato con datori di lavoro secondo cui i candidati che scrivono una lettera di ringraziamento dopo un colloquio passano subito in cima alla graduatoria delle domande di assunzione. Quando mi trovo in tour per la promozione di un libro, scrivo a tutti quelli che mi intervistano, a tutti i posti in cui sono ospite e a tutti i giornalisti che si occupano di me. Sapete chi altri lo fa? Nessuno.

Ma non è che gli altri non provino gratitudine: la provano, molto probabilmente. Solo che pensano: «Ma sì, lo capirà», e infatti le persone lo capiscono. Vostra nonna è abituata a mandarvi regali senza ricevere risposte. «Be’», pensa la nonna, mentre voi siete stravaccati da qualche parte a scambiarvi messaggi con qualcuno che sta nella stanza accanto su qualcosa che avete appena visto in tv, «ha così tanto da fare!». Il punto, però, è che anche lei ha da fare, eppure trova il tempo di mandarvi cose. Non sto cercando di alimentare i vostri sensi di colpa. Voglio soltanto aiutarvi.

E chi sarei io? Una persona che ha un discreto successo, possiede un dipinto di Picasso e ha scritto un buon numero di libri, ma che, ciononostante, quando tornerà a casa alla fine della giornata scriverà alla rettrice della Oberlin per ringraziarla della laurea che mi è stata data e che non merito, anche se gliene sono infinitamente grato.


Il testo è tratto da Cuor contento il ciel lo aiuta di David Sedaris, presentato in Italia al Festivaletteratura di Mantova

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