È stata tennista, capo squadra di ambulanze, giornalista per  Repubblica l’11 settembre in Iran, delegata della Croce Rossa Internazionale a Baghdad durante la seconda guerra del Golfo, consulente governativa scelta dal ministero degli Esteri italiano e dal governo americano per guidare la ricostruzione di una provincia nel sud dell’Iraq, uno dei luoghi più pericolosi al mondo, dopo la caduta di Saddam Hussein.

Anna Prouse ha passato il suo tempo a lavorare per migliorare la vita delle persone, a portare la pace nelle guerre più difficili del mondo, cercando di affrontare la sua guerra personale. Ha visto la morte in faccia diverse volte, affrontato un tumore e un’infanzia traumatica.

Della mia guerra, della mia pace (Harper Collins, 14 novembre 2023) è l’autobiografia di Anna Prouse che ha fatto della sua vita un romanzo.

La storia personale si confonde con la Storia, la sua scrittura lascia emergere, tra eroismi e fragilità, il ritratto di una donna straordinaria che con determinazione ha contribuito a costruire un mondo migliore. Perciò è invitata come “madre della patria” a L’eredità delle donne, il festival sull’empowerment femminile diretto da Serena Dandini, a Firenze dal 24 al 26 novembre.

Dal tennis al giornalismo

Anna Prouse però non ama raccontarsi. «Anni fa avevano già tentato di convincermi a scrivere un’autobiografia e mi ero rifiutata. Poi mi hanno spronata il podcast di Pablo Trincia (Le guerre di Anna), il tumore e una chiacchierata con Krista Vanderbeke, la mia amica osteopata che mi disse “Per renderti utile perché non scrivi di te? Non sei l’unica ad aver avuto un’infanzia così, altri potrebbero imparare dalla tua esperienza”». Anna Prouse cresce in una buona famiglia milanese, da un padre gentile e una madre feroce, ossessionata dalla forma fisica della figlia, dalla sua educazione ferrea e la sua vocazione spirituale. «L’infanzia e l’adolescenza sono state le fasi più dure della mia vita».

A 16 anni è felice solo sul campo da tennis, dove le viene pronosticato un futuro da campionessa. «Il tennis era gioia allo stato puro». Ma per rincorrere l’ultima palla di una partita quasi vinta, il suo ginocchio si spezza, e, assieme al ginocchio, il sogno. «Mi ci sono volute otto operazioni per rendermi conto che era finita».

In cerca di una nuova evasione, Anna decide di partire. Scoprirà così la sua vera vocazione: conoscere luoghi lontani e le persone che li abitano. «Intorno ai 20 anni ho cominciato a viaggiare da sola, in campeggio, poi coast to coast negli Stati Uniti. Ma è stato il viaggio in India la vera rivelazione: lì ho incontrato Madre Teresa di Calcutta e ho capito che pur non essendo una missionaria volevo trovare qualcosa da fare nel mondo per aiutare gli altri. Ma non sapevo ancora cosa. Mia madre voleva che diventassi una top manager in una grande azienda come la Sony».

Invece dopo una lunga esperienza di volontariato in ambulanza per la Croce Rossa a Milano, Anna inizia a scrivere di viaggi per Repubblica. «Inizialmente il giornalismo mi sembrava un’idea grandiosa, ma poi è stata una doccia fredda. Mi sono ritrovata in Iran l’11 settembre 2001 a scrivere delle ultime tribù nomadi, i Qashqai e i Bakhtiari, ma il giornale mi chiese di dare la caccia a bandiere americane bruciate e a gente che inneggiava all’odio contro l’occidente. In realtà l’Iran non era solo quello. La stragrande maggioranza degli iraniani era in stato di choc per l’attentato alle Torri Gemelle e io non avevo voglia di dipingere un paese quale non era. L’Iran non era solo quello nero degli ayatollah e dei chador, io ho scoperto un Iran dolce, colto, azzurro come le sue moschee, dove le donne studiano. In un paese dove le donne possono studiare i regimi non durano in eterno. In Iran, a differenza di altri paesi in cui mi sono trovata a lavorare, incontrare gente intellettualmente stimolante era all’ordine del giorno. Questo era l’Iran che nessuno raccontava. Iniziai pian piano a distaccarmi dal giornalismo».

In Iraq

Anna Prouse con gli sceicchi del sud dell'Iraq dopo la reghiera del venerdì in moschea (foto di Marc Roussel)

Così vince un concorso come delegata internazionale della Croce Rossa e parte per l’Iraq. «Dovevo mettere in piedi un ospedale da campo della Croce Rossa Italiana a Baghdad. Ho ricevuto la chiamata il 4 giugno e l’8 giugno son partita, ho detto sì immediatamente senza neanche riflettere. L’arrivo è stato uno choc, perché fino a quel momento avevo visto la guerra solo in televisione, poi sono atterrata a Baghdad, e nonostante Bush dicesse che la guerra era finita, ho visto soldati armati fino ai denti, black hawk e veicoli da guerra ovunque. Sono arrivata quindi in un grande parcheggio dove avevano già montato l’ospedale da campo e dove c’era una fila interminabile di pazienti disperati in attesa davanti al cancello, mi son detta questa volta ho esagerato.

Ma l’esperienza mi ha cambiato la vita. Qui gli americani notarono come riuscissi a interagire con gli iracheni di un ministero guidato dal partito Dawa, che era stato a lungo considerato un’organizzazione terroristica. Credo che gli iracheni sentissero che io non li giudicavo e apprezzavano il mio coraggio, da non sottovalutare in un mondo violento come quello». Così Anna viene scelta come consulente di uno dei ministeri iracheni più controversi e inaccessibili, ed è stata poi incaricata dal generale Petraeus di guidare gli sforzi di ricostruzione nel sud ribelle dell’Iraq, inserendola in un’area dominata da feroci miliziani iraniani.

La tenacia nel portare avanti le sue missioni prevale anche sulla paura. «Il momento più difficile è stato quando a Baghdad, Alì, la mia guardia del corpo irachena, ha tentato di ammazzarmi. Ero in macchina con altre tre persone e quest’uomo svuotò il kalashnikov all’interno del nostro veicolo, a un metro di distanza da me. Uccise tutti tranne me. Il mio poggiatesta era crivellato di colpi e fu in quel momento che iniziai a credere alla divina provvidenza. Riuscii a scappare guidando per le strade di Baghdad». In un’altra occasione un razzo colpisce la sua stanza, in un’altra ancora il governatore di Nassiriya ordina di far esplodere uno Ied, un ordigno esplosivo improvvisato, al suo passaggio e parte del convoglio salta in aria. Anna Prouse sopravvive anche a una fatwa (condanna a morte per ordine di un’autorità religiosa), poi revocata grazie all’intervento di Qasem Soleimani, il comandante delle Guardie iraniane della Rivoluzione.

Curiosità

L’essere donna occidentale in un mondo ultraconservatore e maschilista a volte poi può anche essere un vantaggio. «Il livello di testosterone scende nella stanza. Ricordo che a Nassiriya, quando ero a capo della ricostruzione, arrivavo anche a criticare quegli uomini con baffoni e kalashnikov sul tavolo, che assomigliavano a Saddam Hussein. Con i fiori nel giubbotto antiproiettile e i miei capelli biondi e ricci, mi potevo permettere di dire cose che un uomo al mio posto sarebbe stato sparato sull’istante».

Dopo otto anni in Iraq oggi guarda il Medio Oriente dalla California, dove ha gestito le relazioni con governi complessi per X (la “Moonshot Factory” di Google) ed è attualmente consulente per diverse startup che aiutano a prevedere calamità naturali tramite l’intelligenza artificiale.

Rispetto al conflitto tra Israele e Palestina nutre una speranza: «Abbiamo talmente raggiunto il fondo che ora bisogna trovare una soluzione. Bisogna concordare diplomaticamente una pace e cominciare subito a ricostruire». Nel frattempo riflette su come lasciare la Silicon Valley, dove vive con Matt, il marine conosciuto in Iraq. «Mi manca il mio paese e mi piacerebbe dare il mio contributo al Piano Mattei. Aiutare i paesi dell’Africa parla di più al mio cuore, creare lavoro nei paesi da dove ha origine il flusso migratorio è qualcosa che saprei e vorrei fare».

Dopo aver vissuto tante vite in una vita, Anna Prouse è pronta a reinventarsi ancora. «Quando passa un treno salta su, questa è sempre stata la mia filosofia. Ho dovuto invece imparare a saper scendere dai treni che non vanno nella direzione sperata». Ma cosa l’anima ancora? «La curiosità».


Della mia guerra, della mia pace (Harper Collins 2023, pp. 416, euro 19) è l’autobiografia di Anna Prouse

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