Pare brutto, si dice a Napoli. Pare brutto se dai una festa, una zia la inviti e un’altra no. Pare brutto se a Natale non lasci la regalía al portiere del palazzo. Pare brutto è in sostanza quella linea sottile che divide il gesto inopportuno dal saper vivere. Chi raccoglieva le confidenze di Eduardo, dice che Pare brutto è la commedia che non riuscì a scrivere. L’ipocrisia stava in cima alle sue urgenze di drammaturgo.

Pare brutto devono essersi detti a Napoli l’estate scorsa, quando con lo scudetto sulla maglia se ne andavano l’allenatore, l’architetto della squadra, il suo miglior difensore. La città era in festa, Anto’ fa’ caldo, chi ce l’aveva la forza di obiettare?

E poi l’estate precedente era stata una lezione: quattro titolari salutati tutti assieme (Koulibaly, Insigne, Mertens, Ruiz), i tifosi invitavano il presidente all’auto-esilio verso Bari, quello indovina tutto e vince lo scudetto. Così nessuno s’è azzardato a disturbare e cinque mesi dopo il Napoli fa il rumore di una ruota che si sgonfia. Nessuno poteva chiedergli di rivincere il campionato. Al di fuori dell’asse Inter-Juventus- Milan, l’ultimo a esserci riuscito è stato il Grande Torino ottant’anni fa.

Ma De Laurentiis avrebbe dovuto avvertire l’obbligo di non disperdere quel patrimonio di bellezza, entusiasmo e passione. Domenica c’era lo stadio pieno per la partita contro l’Empoli, ma chi conosce bene Napoli sa che i biglietti erano stati venduti tutti per poter dire basta a Rudi Garcia. La parte destruens in genere a Napoli viene bene.

È nella seconda fase che spunta qualche difetto. Nel calcio lasciarsi è naturale. A De Laurentiis è capitato più spesso d’essere mollato che il contrario. Non deve essere facile averlo al telefono o nella stanza accanto. Ogni volta ha reagito cercando una figura opposta a quella che gli aveva voltato le spalle, tra il moto d’orgoglio e il dispetto fanciullesco. È stata la sua maniera di mettersi al centro del villaggio (ehm). Gli è sempre andata bene. Dopo Spalletti no.

Ora, dopo Garcia, fa qualcosa di diverso. Ripesca Walter Mazzarri, il primo allenatore che lo portò in Champions 10 anni fa, prima di far voto di superbia e andarsene, dicendo che era stato toccato il culmine, era impossibile migliorare. È successo a lui, non al Napoli. È precipitato in una spirale di negatività e di meme. In tutto questo tempo è andato a letto presto. È stato tre anni senza squadra, è stato esonerato una volta sì e una no.

Torna perché ha fatto sapere nei giri giusti che guardava sempre le partite di Spalletti in tv e dirà alla squadra: giocate come sapete. È un’idea così folle che potrebbe perfino funzionare. Ma non è questo il punto. Gli analisti più raffinati vedono il suo ritorno per 7 mesi come la prova che don Aurelio in estate prenderà un grande nome, forse Conte, chi lo sa.

Il partito dei disillusi vede solo un presidente che sta dicendo: amici, si è chiuso un cerchio, si può solo tornare a Mazzarri. Allora servirebbe qualcuno che quel basta detto a Garcia lo rivolgesse a lui, a De Laurentiis, ma pare brutto.

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