Nelle commissioni di Camera e Senato è intervenuta qualche manina che vorrebbe dirottare una parte dei fondi europei, in arrivo con il Recovery plan, verso la filiera militare delle armi. È scritto nero su bianco: «Incrementare la capacità militare dando piena attuazione ai programmi di specifico interesse volti a sostenere l’ammodernamento e il rinnovamento dello strumento militare, promuovendo l’attività di ricerca e di sviluppo delle nuove tecnologie e dei materiali, contribuendo al necessario sostegno dello strategico settore industriale e al mantenimento di adeguati livelli occupazionali nel comparto». E ancora: «Occorre promuovere una visione organica del settore della Difesa, in grado di dialogare con la filiera industriale coinvolta, in un’ottica di collaborazione con le realtà industriali nazionali».
Tradotto: utilizziamo i fondi destinati alla Next Generation per un bel lavaggio verde del comparto industriale militare. Una operazione di greenwashing per produrre nuovi armamenti e aumentare i finanziamenti di un settore già riceverà almeno il 18 per cento (quasi 27 miliardi di euro) dei fondi pluriennali di investimento attivi dal 2017 al 2034.
Come un giovane cadetto, il PNRR (piano nazionale di ripresa e resilienza) è entrato nel dibattito delle commissioni Difesa, Bilancio e Programmazione, vestito in abito civile ed è uscito in divisa. Il governo Conte si era limitato ad inserire misure di efficienza energetica degli immobili della Difesa e di rafforzamento della sanità militare, e ora il governo Draghi si trova sul tavolo un piano che prevede l’acquisizione di nuove armi e un incremento della spesa militare.
Industria militare ascoltata, società civile esclusa
Consigli interessati sono stati suggeriti durante le audizioni alle quali hanno partecipato rappresentanti dell’industria militare, la Federazione aziende italiane per l'aerospazio, la difesa e la sicurezza, l’Associazione nazionale produttori armi e munizioni sportive e civili, e naturalmente il colosso industriale Leonardo spa (da cui proviene il ministro della Transizione Ecologica Cingolani). I rappresentanti delle associazioni del mondo pacifista, del disarmo, del servizio civile, del volontariato, riuniti nella Rete italiana pace e disarmo, non sono stati invitati, nonostante l’avessero chiesto presentando un dettagliato piano in 12 punti (dalla cooperazione internazionale alla difesa civile e nonviolenta, dalla riconversione dell’industria bellica fino all’educazione alla pace) che finora non è stato preso in considerazione.
C’è molto malumore, oggi, nell’associazionismo pacifista e nonviolento, per questo tentativo di “appropriazione indebita” di fondi che, secondo quanto scritto nella stessa introduzione del PNRR dovrebbe prefigurare un futuro di pace e di riconciliazione con la natura: «Non c’è un mondo di ieri a cui tornare, ma un mondo di domani da far nascere rapidamente». Invece si è dato ascolto a quanto dichiarato, incredibilmente, qualche giorno fa dal capo della protezione civile: «Siamo in guerra e ci vogliono norme da guerra». È stato preso alla lettera. Anziché aumentare e migliorare il sistema di difesa civile e di prevenzione dei conflitti, si preferisce rafforzare il potere della dittatura della armi. D’altra parte siamo un paese che è autosufficiente nella produzione dei sistemi militari necessari alla Difesa armata, ma siamo totalmente dipendenti dall’estero per la tecnologia e le apparecchiature medico-sanitarie. I dati ci dicono che esportiamo all’estero sistemi militari (2,5 miliardi di euro all’anno) e importiamo strumenti e apparecchiature mediche (6,5 miliardi). Un saldo positivo per le armi, un deficit per la sanità. Nel mondo di ieri era così. Nel mondo di domani dovrebbe essere l’opposto. Il cambiamento deve essere globale. Il virus ci sta dicendo che la nostra sicurezza non dipende dalle armi ma dall’accesso alla salute, all’educazione, alla qualità dello sviluppo, alla distribuzione della ricchezza prodotta, al rispetto della biosfera, e che i nemici da sconfiggere sono le povertà, la corruzione, l’illegalità, lo sfruttamento selvaggio delle risorse del pianeta, la violenza, l’inquinamento dell’atmosfera e degli oceani. Per questo è prioritario orientare il rilancio del nostro Paese ai principi ed ai valori della pace. Il Piano deve essere l’occasione per investire fondi in processi di sviluppo civile. Ci vogliono coraggio e visione che, coniugati con un sano realismo, possano davvero garantire un futuro amico ad un Italia capace di immaginare e realizzare “pace e disarmo”. Il programma costruttivo della nonviolenza passa anche da qui.
Mao Valpiana
Rete italiana Pace e Disarmo
Presidente del Movimento Nonviolento
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