Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà parte del libro Sulle ginocchia, edito da Melampo, riguardo la storia di Pio La Torre scritta dal figlio Franco


Credo che la coscienza del limite, nel mio caso, non fosse controbilanciata da una consapevole determinazione ed evidenza di scopi e fini. Insomma, capivo di non aver chiaro il perché e il come e, forse, anche il cosa.

Avvertivo la vertigine di cadere vittima di me stesso. Preda di un’incontrollabile autostima, che potesse condurmi a raccontare una storia utile a me e basta. Immaginare tutto ciò, mi ha fatto fare un passo indietro, con un senso di sollievo.

Allo stesso tempo, la cognizione che non avessi una motivazione sufficiente ad affrontare l’impresa mi faceva sentire inadeguato. Inadeguato nel fornire un racconto originale, rispetto alle biografie e alle analisi dedicate alla vita e all’azione politica di Pio La Torre.

Le persone a me care, in varie occasioni, mi avevano stimolato, ritenendo che avessi qualcosa da dire, di più e di diverso, secondo l’ottica del figlio, non sottoposta a rigide letture di tipo politico o storico. Anche se a politica e storia non si poteva sfuggire, visti il personaggio e l’argomento. Ma ogni volta si erano scontrate contro il muro che avevo eretto intorno a me, a salvaguardia dei miei privati sentimenti.

Questo, d’altronde, era stato l’approccio condiviso in famiglia per evitare che, come era accaduto in casi analoghi, la vita privata di una vittima di mafia fosse gettata nel grande frullatore mediatico, diventasse oggetto di strumentalizzazioni, spettacolo utile ad esercizi voyeuristici, e finisse per prevalere sull’intera storia delle persone, fatta di valori civili e di impegno democratico.

Mi rendevo conto che questa ritrosia non sempre fosse ben compresa e potesse essere interpretata come il venir meno al compito filiale di onorare il padre.

Quindi, dovevo sforzarmi di spiegare che per me non era semplice misurarmi con un’impresa, che consideravo ardua e, forse, al di sopra delle mie possibilità.

Non ritengo di avere particolari capacità narrative, come non credo di essere in grado di fornire dettagli significativi o letture inedite; questi i motivi alla base della mia scelta.

Mi domandavo: e se mio padre leggesse? Mio padre, spesso, mi faceva leggere gli articoli e i discorsi che scriveva, e mi sollecitava pareri sinceri, che gli fornivo orgoglioso, e che offrivano lo spunto per discutere. Lo stesso facevo io, quando capitava, e ricevevo da lui utili suggerimenti, anche critici, e mai giudizi definitivi o inviti a lasciar perdere.

Le questioni che poneva non miravano a mettermi in difficoltà. Non suggeriva di togliere questo o cancellare quello. Non mi proponeva la sua versione. Diceva che non lo convinceva il ragionamento, in tutto o in parte, o lo trovava debolmente argomentato, rispetto alle tesi che volevo sostenere o alle conclusioni cui ero giunto. Era interessato al mio modo di pensare. Analizzava il testo, nella sua logica e solidità, per esaminare quanto intendessi affermare, e mi sottolineava quali, a suo parere, fossero i punti di forza e di debolezza.

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