Dalla Polexit alla Italexit c’è un tweet di separazione. «La pensiamo come la corte costituzionale polacca», scrive Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia e presidente del partito conservatore europeo. La corte di Varsavia ha disconosciuto la superiorità dell’ordinamento europeo: fa riferimento ad alcuni articoli del trattato sull’Ue, le cui letture a suo dire sono incostituzionali, e sostiene che la corte europea non può permettersi di dire alla Polonia cosa deve fare, o di contestare le scelte della sua corte, che lamenta «la perdita della nostra sovranità giuridica». Anche la Lega in Europa fa da sponda alla Polonia: «Sono le nazioni a legittimare l’Ue, non viceversa». Varsavia va allo scontro con Bruxelles, prende le distanze sia dal trattato che dalla corte dell’Ue, e il quadro politico continentale si agita di conseguenza. Poco importa che la sfida polacca sia più che altro una tattica per sbloccare fondi. Intanto anche nei paesi fondatori come Italia e Francia la destra, alleata degli ultraconservatori polacchi, rilancia lo slogan del sovranismo giuridico. Se c’è una cosa che Polexit ha in comune con Brexit è questa: della “exit” affascina o terrorizza, in base ai punti di vista, non solo la rottura in sé, ma il potere di trascinamento.

Sovranismo polacco

«Chiediamo una riflessione su come stanno evolvendo le istituzioni europee», dice da Strasburgo Zdzisław Krasnodębski. L’accademico polacco ospitato in università come Princeton e Oxford è passato ormai da anni al partito ultraconservatore Pis in nome del legame coi gemelli Kaczynski. Fedele alla linea, adesso dice che «non è possibile che l’Ue si arroghi il diritto di intervenire nella nostra legge di famiglia, nelle politiche migratorie o nel modo in cui organizziamo lo stato». Allo stesso tempo, però, da europarlamentare ed ex vicepresidente dell’Europarlamento, dice anche che «il posto della Polonia è dentro l’Ue». Non vogliamo lasciarla, sostiene, ma «cambiarla sì». Dal 2015 l’esecutivo polacco mette sotto scacco il potere giudiziario: pure i membri della più alta corte del paese, quella costituzionale, sono sotto il cappello del partito. Il disequilibrio di poteri ha portato la corte di giustizia europea a produrre più sentenze per tutelare l’indipendenza dei giudici, in particolare da quando nel 2018 la Polonia ha introdotto una camera disciplinare dedita a imporre misure arbitrarie nei confronti di giudici polacchi non in linea con il governo. Il premier, Mateusz Morawiecki, a marzo ha sfidato i pronunciamenti della corte Ue e si è rivolto alla corte costituzionale, la stessa che preoccupa Bruxelles perché non è libera.

La sentenza polacca di giovedì è una decisione politica. «Sarei stato deluso da una decisione diversa», ha detto il leader del Pis, e vicepremier, Jaroslaw Kaczynski. «Sul sistema giudiziario del nostro paese l’Ue non ha voce in capitolo». Il sovranismo è polacco ma riguarda anche altri paesi. A cominciare dall’Ungheria: è Viktor Orbán ad aver insegnato a Varsavia, alleata e compagna di violazioni dello stato di diritto, la tattica di esasperare il conflitto, fare il troublemaker, sperando che sia la controparte – Bruxelles – a cedere. Il pronunciamento della corte polacca è rimasto congelato per mesi, e se arriva proprio ora è per lo scontro in corso tra governo e Commissione europea sui fondi. Il gabinetto di Ursula von der Leyen infatti non ha ancora dato il via libera al piano di Recovery polacco. «Perché ci tiene in stand by? La Commissione usa il suo potere politico contro di noi», si lamenta Krasnodębski.

Rigurgiti europei

L’europarlamentare polacco è nella stessa famiglia europea conservatrice di Meloni. Lei se la prende con la sinistra «che obbedisce in silenzio, il Pd asservito all’asse francotedesco» e dice: la costituzione nazionale viene prima di Bruxelles, ha ragione la Polonia. La sirena seduce fino in Francia. Qui si fa trovare pronto all’appello il polemista xenofobo Éric Zemmour. Sostenuto da Marion Maréchal e da Meloni, amico di Orbán e con uno strapuntino a Budapest, dove il suo braccio destro Erik Tegnér non a caso si trova, Zemmour si prepara a rubare consensi a Marine Le Pen alle presidenziali.

E se ne esce con un comunicato formale, quasi fosse già presidente, per dire: «Questo è il momento di restituire al diritto francese la sua supremazia su quello europeo». Ovviamente Le Pen non può essere da meno: «Popoli sovrani! Se sarò eletta all’Eliseo, farò valere la supremazia della giurisdizione nazionale!», dice. Prima i francesi, leggi incluse. L’idea, in una politica ipereccitata dalle presidenziali imminenti, ha finito per attrarre non solo l’estrema destra ma pure un (ex) uomo delle istituzioni europee come Michel Barnier: lui che è stato sia commissario Ue che caponegoziatore europeo su Brexit, finisce per invocare una «sovranità giuridica» del suo paese in ambito di immigrazione. Intanto anche sulla linea dura contro i migranti la destra sovranista ribadisce alleanze: Ungheria e Polonia ovviamente, altri paesi dell’est, Austria, in tutto una dozzina di stati membri chiede alla Commissione linea (ancor più) dura alla frontiera; Matteo Salvini plaude: «Ben 12 paesi. E l’Italia?».

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