Nel mezzo dello scandalo per corruzione del Qatar, la svolta annunciata ieri dalla presidente della Commissione europea sulle norme sugli aiuti di stato e sulla nuova direzione di politica economica dell’Unione europea rischia di passare in secondo piano.

Eppure ieri Ursula von der Leyen, nella plenaria del parlamento europeo e poi in una lettera ai capi di stato e di governo che si riuniscono oggi per il Consiglio europeo, ha confermato un profondo cambio di rotta sulle norme degli aiuti di stato, ha annunciato un fondo per la «sovranità», termine che in altri paesi non ha le connotazioni politiche che ha assunto in Italia ma che certamente rispecchia lo spirito del tempo, cioè post globalizzazione. Il fondo servirebbe per finanziare la transizione ecologica, anche in risposta ai sussidi alle energie rinnovabili decisi dagli Stati Uniti attraverso l’Inflation Reduction Act.

Il problema investimenti

La riforma delle norme sugli aiuti di stato, nate per evitare distorsioni alla concorrenza e quindi che alcune aziende vengano favorite rispetto ad altre, è in programma a Bruxelles da molto tempo.

L’ex capo economista alla Concorrenza Tommaso Valletti ha affermato che le regole col tempo hanno avuto una involuzione legalistica, col rischio di ostacolare con la burocrazia anche piccoli progetti. La riforma potrebbe però mettere in discussione anche le pari opportunità che dovrebbero essere garantite dalla legge.

Il pressing per modificare le norme si è acuito soprattutto sotto la spinta di Germania e Francia, che negli anni passato hanno contestato le decisioni che cercavano di evitare le concentrazioni industriali e di dare a poche imprese molto potere, e ha avuto una accelerazione con il nuovo commissario all’Industria Thierry Breton.

Ora Von der Leyen giustifica la proposta di riforma come mezzo per raggiungere gli obiettivi della transizione ecologica, ma in passato questa linea era stata invece giustificata con la necessità di creare «campioni europei» da contrapporre a quelli cinesi o americani, come se avere multinazionali ancora più grandi fosse necessariamente un bene per i cittadini.

Aiuti di stato

«Dobbiamo rendere più facile per gli investimenti pubblici alimentare questa trasformazione senza precedenti», ha scritto Von der Leyen nella sua lettera, spiegando che la Commissione sta adottando «una nuova prospettiva per garantire un quadro degli aiuti di stato più semplice, rapido e persino più prevedibile. Dobbiamo consentire il supporto lungo l'intera catena del valore, fino alla produzione delle soluzioni green-tech più strategiche e dei prodotti finali puliti».

Le modifiche interesserebbero quindi gli interventi per la decarbonizzazione dei processi industriali, le energie rinnovabili, e in generale gli investimenti nelle tecnologie pulite, «con un aumento significativo delle soglie di notifica per gli aiuti di stato in questi settori» a partire già dall’inizio del 2023, mentre per il fondo si punta all’estate.

Già in passato per dimostrare di essere pronta a investire e a fare politica industriale, considerata spesso la grande assente delle politiche europee, la commissione aveva sussidiato imprese che erano già pronte a investire nelle batterie elettriche, dando soldi a imprenditori che non ne avevano bisogno. Quando, invece, i fondi pubblici devono rispondere ai bisogni dei cittadini che non sono soddisfatti.

Il confronto con gli Stati Uniti

Von der Leyen ha aggiunto al suo ragionamento che i sussidi al settore delle rinnovabili contenuti nell’Inflaction Reduction Act americano rischiano di distorcere la concorrenza. Il protezionismo americano è molto maggiore di quello europeo da sempre: basta guardare al numero di barriere al commercio registrate dall’Organizzazione mondiale del commercio. Ma in questo caso il problema rischia essere piuttosto la modalità con cui l’Unione europea spende.

Nel giorno dell’annuncio di von der Leyen, il Financial Times ha ricordato che sommando le diverse iniziative europee, da RePowerEu ai piani di NextGeneration ai fondi di innovazione e di coesione passando per Horizon, gli investimenti nel settore delle rinnovabili sono maggiori nel Vecchio Continente rispetto ai 369 miliardi stanziati dall’amministrazione Biden. Tuttavia le imprese degli Stati Uniti hanno un vantaggio una singola agenzia federale, in questo caso il Tesoro, che gestisce investimenti e politiche fiscali. E a questo si somma un altro problema, sottolineato anche dal ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso nel suo recente incontro con il commissario Breton.

Il ministro ha spiegato in una nota di aver dato parere positivo alla riforma sugli aiuti di stato, ma ha citato come dossier da prendere in considerazione al commissario all’Industria anche le politiche fiscali, leggi le regole del patto di stabilità e il fatto che ci siano fondi comuni Ue che possano finanziare questi interventi.

Chi ci guadagna

Se salta il tetto agli aiuti di stato, l’Italia rischia di trovarsi svantaggiata per colpa delle asimmetrie di bilancio nell’Unione: i paesi con meno debito e più risorse disponibili possono spendere di più per proteggere le proprie imprese.

Un’Europa più “sovrana” potrebbe diventare per paradosso una Europa che protegge meno i sistemi produttivi che non hanno uno stato finanziariamente forte al loro fianco.

La proposta più convincente è quella a cui Von der Leyen ha dato meno enfasi: cioè la possibilità di creare un’alleanza di produttori di materie prime per la transizione ecologica in funzione anti-cinese, stringendo accordi con “paesi amici”. Sono tante le incognite su quella che sembra una svolta che fa di ieri un giorno da ricordare.

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