L’Unione europea è a un passo dall’approvazione finale del Regolamento europeo sulle materie prime critiche (Crm Act), quelle cioè considerate fondamentali per la transizione ecologica e digitale dell’Ue. Nel pacchetto però c’è ben poco di green e molto di militare.

Le materie prime critiche sono quelle considerate indispensabili per la costruzione di auto elettriche, pannelli solari, smartphone e apparecchiature mediche, ma in questo elenco sono stati inseriti anche l’alluminio e il titanio, impiegate principalmente dalle industrie della difesa. Ma come si è arrivati a questo punto?

Le pressioni delle aziende belliche e delle lobby militari attive a Bruxelles hanno avuto un ruolo fondamentale nel cambio di posizione dell’Europa. Fino al 2020, il regolamento definiva quali materie erano da considerarsi critiche e quali no sulla base della loro importanza economica per l’Ue e dei rischi associati al loro approvvigionamento, senza fare alcun riferimento al mondo della difesa. La situazione però è cambiata nel 2023, quando nel testo è comparsa una nuova categoria: quella delle materie prime strategiche.

Le spese

Queste ultime sono determinate dalla rilevanza che assumono «per la transizione green e digitale, ma anche per la Difesa e lo spazio». Come l’alluminio e il titanio. Il primo materiale è il secondo più usato al mondo nell’industria metallurgica ed è impiegato in larga parte nella costruzione delle macchine, ma l’alluminio serve anche per realizzare aerei da guerra, navi militari, bombe, missili, carri armati, elicotteri, droni e altre armi di piccolo calibro.

Il suo approvvigionamento, dunque, è di fondamentale importanza per il settore bellico. Un altro materiale ugualmente rilevante è il titanio. Anche in questo caso il metallo è usato per applicazioni civili, ma come sottolinea il dossier “Blood on the Green Deal” dell’Observatoire des Multinationales e del Corporate Europe Observatory, il suo impiego maggiore è nel campo della difesa. Inoltre, l’approvvigionamento del titanio non è così tanto rischioso da meritare una menzione all’interno del regolamento europeo, ma sempre nel 2023 questo metallo viene inserito tra le materie critici, con grande sollievo delle industrie belliche

Le maggiori aziende della difesa e le organizzazioni che ne portano avanti gli interessi a Bruxelles hanno passato gli ultimi dieci anni a fare pressioni sui funzionari europei per arrivare a questo risultato.

Come riporta il dossier, nel solo 2022 Airbus ha speso un milione e 250mila euro in lobbying, sempre più di un milione la spagnola Indra, altri 700mila la tedesca Rheinmetall, ma anche le italiane Leonardo ed Elettronica hanno investito in queste attività. In totale, nel 2022 le dieci maggiori aziende della difesa europee hanno speso 4,7 miliardi per arrivare alla modifica del regolamento sulle materie prime critiche.

Lobby

Ad agevolare il lavoro delle industrie e delle lobby sono state anche le commistioni tra il settore militare e i decisori europei. Basti pensare che Thierry Breton è stato chief executive officer di Atos, compagnia francese attiva nel settore sicurezza, prima di passare al ruolo di commissario per il Mercato interno dell’Ue.

Breton si è dimostrato uno dei principali sostenitori degli investimenti in difesa negli ultimi anni e dall’invasione russa dell’Ucraina ha più volte spinto per un ampliamento delle linee produttive europee. Gli interessi delle aziende belliche, quindi, sono tenuti in ottima considerazione in Europa, a discapito però dell’ambiente.

Il testo del regolamento prevede una serie di meccanismi volti a sostenere e facilitare l’accesso ai materiali critici e strategici in nome dell’emergenza climatica, ma rischia in realtà di indebolire proprio gli standard ambientali dell’Ue in nome di un «interesse pubblico prevalente». Come denunciano i ricercatori, i nuovi progetti per l’estrazione e l’approvvigionamento delle materie prime potrebbero aggirare le direttive sulla protezione delle acque e degli habitat, con conseguenze negative per l’ambiente e la salute delle persone.

Per ridurre la dipendenza dalla Cina, l’Europa dovrebbe aprire nuove miniere nel Vecchio continente o siglare nuovi accordi con paesi terzi, che a loro volta finiranno con l’aumentare i siti estrattivi. Il tutto per favorire gli interessi dei costruttori di armi, più che dei cittadini del mondo.

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