«Oggi non c’è il consenso per inviare in modo ufficiale truppe di terra, ma niente dev’essere escluso».

Le parole pronunciate lunedì notte da Emmanuel Macron hanno generato il giorno seguente un caos diplomatico. Non che la cosa sia nuova: gli era già successo su un aereo di ritorno dalla Cina. Il bluff rientra tra le arti affabulatorie del presidente francese, e che dire delle gaffe?

Ma ci vuole un inedito talento per mettere insieme l’occidentalissimo Donald Tusk e il filorusso Robert Fico, la destrorsa Marine Le Pen, socialisti e sinistra francesi, tutti contro di lui. Dichiarando che un intervento di terra in Ucraina non è da escludere in futuro, l’Eliseo ha scatenato un putiferio.

Non c’è stato neppure bisogno che il Cremlino alzasse la cresta, visto che ci ha pensato Olaf Scholz a contraddire l’Eliseo pubblicamente; e Palazzo Chigi al traino. In serata pure la Casa Bianca si è sentita in dovere di chiarirlo: «Non manderemo truppe a Kiev».

Una sintesi impietosa dell’incidente – chiamiamolo così – l’ha fatta il cancelliere austriaco: «È sorprendente uscirsene con un argomento che non ha consenso, e creare così un dibattito del quale davvero non abbiamo bisogno».

Pare che i riferimenti di Macron a un intervento sul campo abbiano avuto l’unico effetto di mettere a nudo divisioni interne e incertezze.

Anatomia del caos

Ma come si è innescato il patatrac diplomatico?

Anzitutto il contesto: questo lunedì sotto l’ombrello dell’Eliseo si è radunata una ventina di capi di stato e di governo, principalmente europei, per una «conferenza a sostegno dell’Ucraina». Né Giorgia Meloni né Antonio Tajani sono andati, con il Consiglio dei ministri convocato in concomitanza. Per l’Italia c’era Edmondo Cirielli, viceministro degli Affari esteri.

Il tema di un intervento diretto occidentale in Ucraina è filtrato ben prima che Macron lo sfoderasse nel suo intervento finale prossimo alla mezzanotte. Già verso l’ora di cena il premier slovacco Robert Fico ha lanciato segnali: «Diversi membri Nato e Ue stanno valutando l'invio delle proprie truppe sul terreno ucraino su base bilaterale».

Fico è ovviamente contrario; le sue dichiarazioni di disimpegno verso Kiev in campagna elettorale avevano fatto scandalo. Fatto sta che un leader disallineato ha dato un messaggio: di invio di truppe si stava effettivamente discutendo, anche se in termini di iniziative sparse («su base bilaterale») e non di consenso condiviso.

Nel giro di circa tre ore è arrivato l’intervento di Macron che ha poi gettato scompiglio anche il giorno successivo, ovvero questo martedì.

Cosa ha detto esattamente il presidente francese? In realtà nel suo intervento finale ha parlato di un «momento critico del conflitto» che impone di «prendere l’iniziativa, e non limitarsi a reagire», viste anche le «incertezze» anzitutto degli Usa; e ha mantenuto come bussola «il diventare sempre più un’economia di guerra»: del resto ingrossare i finanziamenti europei verso l’industria militare è una delle sue effettive priorità.

Poi però una cronista gli ha chiesto conto dell’uscita del premier slovacco. Ed è a questo punto che Macron ha risposto: «Tutto è stato evocato, stasera, in modo franco. Oggi non c’è il consenso per inviare in modo ufficiale truppe, ma niente va escluso. Faremo tutto ciò che è nelle nostre possibilità perché la Russia non vinca la guerra. Con determinazione e umiltà faccio notare che eravamo pieni di jamais, di mai: gente che diceva jamais aerei, e così via. C’era chi diceva “daremo elmetti”, e oggi è il primo a dire: “di più, più rapidamente!”». Riferimenti abbastanza chiari a Olaf Scholz. «Insomma tutto è possibile, se porta all’obiettivo».

Reazioni a catena

Vale la pena ricordare che fino a poche ore prima che partisse l’aggressione all’Ucraina Macron tentava il dialogo con il Cremlino, e che anche dopo non si è certo caratterizzato come falco; nel giorno dell’insediamento di Meloni, era a Roma a un evento per la pace.

Come interpretare quindi quel «tutto è possibile»? Analisti come Mujtaba Rahman, referente europeo di Eurasia Group, riportano che «stando alle fonti di alto livello francesi, lo scopo era anzitutto di avvertimento a Putin: anche se ora non c’è consenso, nulla può essere escluso, e nel dirlo Macron ha rotto un tabù».

Il punto è che se lo scopo era di deterrenza, allora l’esito è stato quello opposto, visto che gli altri leader europei si sono affrettati a dichiarare che di mandare boots on the ground – forze sul campo – non ci pensano proprio.

«È chiaro: non ci saranno truppe sul terreno da paesi europei o dalla Nato», ha dichiarato questo martedì pomeriggio il cancelliere tedesco. La coesione fra alleati, il «supporto, non contempla la presenza di truppe di stati europei o Nato», ha detto il governo italiano sulla falsariga di Scholz un paio d’ore dopo. Tusk lo aveva detto già in mattinata: «La Polonia non ha intenzione di inviare truppe». Altrettanto ha fatto poi Washington.

A quanto pare non c’era neppure bisogno che si disturbasse il portavoce del Cremlino, minacciando che «un intervento non sarebbe nell’interesse degli europei»: ci hanno pensato gli europei a contraddirsi fra loro.

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