Nel Pd c’è «una netta svolta a sinistra», «viene sostanzialmente negato il processo del riformismo messo in campo negli ultimi dieci anni», per questo «non ci sentiamo più a casa nostra». Nella casa dem, dove l’ala riformista ha fatto voto del silenzio sulla segretaria fino alle prossime europee, arriva uno scossone. Si è aperta una vena dal partito della Liguria, da cui fuoriescono trenta dirigenti. Che per di più entrano tutti in Azione. «È il momento di agire con coraggio e aderire al progetto riformista con Carlo Calenda», scrivono al Pd regionale, «Un partito che fonda le proprie radici nella Costituzione, che non media per forza con il populismo dilagante». Uno smacco politico, per il Pd di Schlein che lì ha vinto le primarie, e anche una pesante perdita di voti alla vigilia delle europee: fra i fuoriusciti ci sono il consigliere regionale Pippo Rossetti e la consigliera comunale Cristina Lodi, la più votata, alle ultime amministrative di Genova.

Calenda finalmente sorride

Calenda li accoglie sui social, come da sua tradizione, e pubblica la loro lettera, con le sue chiose: «La scelta, legittima e consapevole, del Pd di spostarsi su posizioni marcatamente massimaliste, chiude la stagione della vocazione maggioritaria. Azione è il partito che si candida a rappresentare i valori repubblicani riassunti nella prima parte della Costituzione. Le porte sono aperte per liberaldemocratici, popolari e riformisti; le grandi culture politiche italiane ed europee che hanno costruito l’Italia e che sono state marginalizzate dal bipopulismo. Riformatori, non centristi». La zampata è contro il Pd, ma il finale velenoso è contro Matteo Renzi che, con l’annuncio della sua lista per le europee, “il Centro” ha lanciato la sfida all’ex alleato che tutt’ora siede con Iv negli stessi gruppi parlamentari. Proprio ieri il senatore fiorentino aveva punzecchiato il leader di Azione: «Ho voluto io Calenda in vari incarichi. Purtroppo lui è abituato a lasciare le cose a metà, come ha fatto a Strasburgo e in Campidoglio. Se ci ripensa, noi siamo qui».

Fra i due centrini, il Pd paga

Il fatto è che mentre i due “centrini” litigano, a farne le spese è il Pd. Che in questi giorni aveva invece inaugurato una nuova stagione di relativa pace proprio con Calenda, per sostenerne la corsa contro Renzi. Giovedì sera alla festa di Modena Nicola Zingaretti, silenziando qualche rancore verso l’ex ministro – che nel Lazio gli ha sfilato il suo ex delfino Alessio D’Amato, correrà alle europee per Azione – ha usato verso di lui parole di insolito riguardo: «Calenda fa bene a combattere per il suo partito, ho rispetto per la forza di Azione la considero una forza nella quale investire per l’alleanza».

Uno smacco anche per i riformisti

Non si può dire che lo strappo ligure arrivi all’improvviso. Rossetti aveva dato segnali di insofferenza che i dirigenti nazionali avevano preso sottogamba: anche quelli riformisti. C’è anche una questioncina concreta: Rossetti è al suo terzo mandato in regione, e al prossimo giro non sarà ricandidato; la consigliera comunale è una sua stretta collaboratrice da sempre, e quindi lo segue. 

In ogni caso la botta è forte per tutti. Anche per i riformisti dell’area Bonaccini, che pure in questi mesi cercano di evitare le polemiche contro la segretaria, di cui non condividono alcune scelte definite quantomeno «estemporanee», dal rallentamento delle spese militari al sì a un inesistente referendum sul jobs act ipotizzato dalla Cgil di Maurizio Landini.

Stavolta però esprimono apertamente il loro malumore. Lorenzo Guerini si dichiara «molto dispiaciuto» per le scelte di Rossetti e Lodi, che «rispetto anche se non condivido». Ma il vero messaggio è per la segretaria: «Forse è il caso di interrogarci tutti, a partire da chi ha le più alte responsabilità nel partito, di fronte a queste e altre uscite. Al netto delle motivazioni personali, c’è un disagio che sarebbe sbagliato ignorare. Ne va dell’identità e del progetto del Pd, comunità plurale e inclusiva cui tutti teniamo». Stessi toni anche da Alessandro Alfieri: «Sono amareggiato. Con molto di loro abbiamo fatto insieme battaglie sin dalla fondazione del Pd». I trenta fuoriusciti, dice «sbagliano», dopodiché «si apra una riflessione per far sentire tutti a casa». «Il disagio non va banalizzato o liquidato», avverte Pina Picierno, il fatto «non può essere archiviato con un’alzata di spalle» dice anche Piero Fassino.

 A parlare non è solo la minoranza riformista. Stefano Vaccari, deputato emiliano vicino a Elly Schlein ribadisce che il Pd sta facendo «un cammino di inclusione, ascolto e sintesi tra storie diverse» ma comunque si consola con «la certezza che continueremo a portare avanti comuni battaglie in aula e sui territori contro le politiche di Toti e Bucci». 

Certo il fattaccio ligure anticipa i tempi di un chiarimento interno. Di cui nel Pd si sente un gran bisogno, una volta che si farà il bilancio dell’«estate militante» che la segretaria aveva proposto a tutto il gruppo dirigente. 

In questi giorni i segnali di disagio non sono mancati. Prima le polemiche a mezza bocca sul jobs act e sulle spese militare. Poi un  retroscena del Foglio che raccontava che Nicola Zingaretti, dopo essere sceso dal palco della festa dell’Unità di Ravenna, aveva confidato di pensarla tutto il contrario di quanto detto al microfono: «Con Schlein alle europee non prendiamo neanche il 17 per cento». Poi la smentita: «Penso l’opposto di quello che è stato scritto. Penso che Elly Schlein stia ricostruendo le condizioni per una grande vittoria, sta riportando a noi un popolo che del Pd non voleva più sentire parlare. Ma è una battaglia ancora tutta da fare, non vuol dire che dobbiamo andare alle elezioni fischiettando e con le mani in tasca». 

Ora la valanga di addii dal Pd di Genova in direzione Azione. Morale provvisoria: se il Pd vicino a Elly Schlein procede avanti tutta, quello lontano da Elly Schlein mastica amaro e non riesce a trattenere quelli che se ne vogliono andare. Nessuno avrebbe intenzione di aprire le danze di un chiarimento prima delle europee del 9 giugno 2024. Tutti sanno che dopo le europee, in assenza di un risultato pieno, sarà inevitabile. Ma da qui a quel voto, il rischio è che ogni settimana, fra Renzi e Calenda, sia uno stillicidio. Renzi l’ha promesso: «Vedrete, da noi arriveranno altri amici  dal Pd». 

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