«Ormai tantissimi vanno in parlamento solo per passare il tempo in attesa del cedolino a fine mese». Chi conosce bene il Movimento 5 stelle rimanda alle parole spese da Giuseppe Conte su Fabio Massimo Castaldo durante la sua ultima diretta social per avere la temperatura del Movimento in queste settimane. L’ex premier ha colpito lui per educare tutti gli altri parlamentari: il dissenso non è gradito, la linea è quella del leader. 

La frase chiave è quella sulla deroga alla regola dei due mandati: «Vale per tutti, anche per l’europarlamento. In un colloquio personale gli ho dovuto chiarire che il nostro codice interno vale per tutti. Troveremo comunque il modo per valorizzare le competenze acquisite nei due mandati». Oltre a mettere spalle al muro Castaldo – che peraltro non nomina mai esplicitamente – Conte manda un messaggio chiaro a tutti i parlamentari inquieti: su chi è al secondo mandato, infatti, pende la spada di Damocle del vincolo su cui il garante Beppe Grillo non vuole assolutamente transigere.

Dalla parte del manico

La verità è che la norma ideata da Gianroberto Casaleggio si è trasformata in un’arma a disposizione del capo di turno: eventuali critiche possono essere ribaltate in pubblico in mal di pancia dovuti alla mancata ricandidatura, è la minaccia velata che si può leggere tra le righe del messaggio di Conte. 

Castaldo è ormai l’ultimo dei mohicani della prima ondata di grillini sbarcati nelle istituzioni, l’ultimo che ha scelto di impugnare l’arma della critica esplicita per manifestare il suo dissenso. Ha lanciato la provocazione di destinare il 2x1000 raccolto dal partito ai territori, una richiesta a cui i vertici di via di Campo Marzio non possono fare seguito, considerate le necessità economiche che ha il M5s nei palazzi romani. Anche perché, nonostante Conte ne abbia celebrato la crescita, il Movimento continua ad arrancare a livello locale, e le ultime elezioni amministrative e regionali sono lì a dimostrarlo. Andarci a perdere più risorse del dovuto è un grosso rischio. 

Castaldo dopo l’intervento di Conte ha bisogno di una exit strategy: mesi fa era dato in uscita dal Movimento in direzione Forza Italia, uno sviluppo che attualmente non sembra più praticabile. Nel momento in cui il suo mandato si concluderà – o se riuscirà a trasferirsi in tempo altrove – Conte avrà rimosso le ultime tracce del vecchio Movimento anche in Europa: una prateria da ripopolare con i fedelissimi che metterà in lista nei prossimi mesi. Una scelta tutta in mano a lui, alla faccia della democrazia interna, ridotta nei mesi scorsi ad avallo delle decisioni del capo con un voto su liste già compilate. Circola già con una certa insistenza il nome dell’ex presidente dell’Inps Pasquale Tridico, il padre spirituale del reddito di cittadinanza. 

La struttura interna

È lui ad essersi conquistato negli ultimi mesi un posto al sole nelle grazie di Conte, a scapito anche dei cinque vicepresidenti. Scomparsi da trasmissioni e cronache, stanno vivendo una vita all’ombra dei palazzi. Riccardo Ricciardi, ex regista teatrale lanciato come tribuno dei gruppi parlamentari durante l’ultima legislatura, gira per Montecitorio in lino e sandali con i capelli lunghi raccolti in un codino. Paola Taverna, chiusa la via delle europee dopo l’ennesima conferma del limite dei due mandati, esercita il proprio ruolo di consulente a spese dei senatori grillini. Michele Gubitosa compare ancora in qualche programma del palinsesto diurno ma ha smesso di essere l’ombra di Conte e seguirlo ovunque va. Di Mario Turco l’ultima notizia è che ha presentato un’interrogazione sulla desertificazione bancaria in difesa delle banche di credito cooperativo. Non proprio un argomento che infiamma le folle. È andata meglio ad Alessandra Todde, che dopo mesi di silenzio è stata rilanciata dalla comunicazione del Movimento nel momento in cui il suo nome sembra il favorito alla corsa per la conquista della Regione Sardegna, che va al voto tra qualche mese. 

Avendo di fatto impedito che i livelli intermedi e i referenti territoriali si guadagnassero un’identità indipendente, Conte tiene in mano il pallino nel Movimento: non ci sono alternative a cui fare riferimento se non lui. Chi – soprattutto tra i parlamentari al secondo mandato – inizia a nutrire qualche dubbio sulla linea ondivaga del presidente, corre da solo. «Non è più come quando c’era Di Maio» racconta chi ha vissuto la spaccatura tra contiani e parlamentari fedeli all’ex ministro degli Esteri. «Non c’è più una corrente che può raccogliere il dissenso, sono battitori liberi». E così, Conte ha le mani libere. Anche perché, nonostante la sua linea ondivaga, nei sondaggi è stabile. 

La via che sembra aver impegnato in vista delle elezioni europee è quella della moderazione: dopo un periodo di “lotta”, in cui Conte ha sposato diverse battaglie della Cgil e ha gareggiato con Elly Schlein per intestarsi la proposta delle opposizioni sul salario minimo, nelle ultime settimane ha proposto una soluzione alternativa a quella della sinistra all’immigrazione e ha offerto una sponda alla maggioranza sulle questioni che riguardano la Rai. L’intenzione, spiegano da dentro, è di confinare Schlein e i suoi nel recinto del massimalismo e portare il voto moderato a convergere su di lui, pur di non votare Giorgia Meloni alle europee. Un calcolo che, con il centro in frantumi, rischia di essere una minaccia vera per la segretaria dem. 

© Riproduzione riservata