Si piega, chiede «profonde scuse» – con un post su Facebook pieno di segnali, avvisi, sfide – si dice infangato nell’«onore» per essere stato definito dai cronisti «ex terrorista». Lui, Marcello De Angelis, ex Terza posizione, condannato a cinque anni per associazione sovversiva e banda armata – non ha compiuto reati di sangue – dice che «un terrorista è una persona schifosa e vile» (qui c’è qualcosa che non torna perché seppure gli ex Nar condannati per la strage di Bologna, che lui sa «con assoluta certezza» innocenti, fossero innocenti, resterebbero ex terroristi).

Chiede scusa «alle persone più vicine», dichiara «massimo rispetto» al presidente della Repubblica. Sulle responsabilità per la strage di Bologna sostiene – stavolta – che «l’unica mia certezza è il dubbio». Ma nel suo post contestato aveva scritto: «So per certo che con la strage di Bologna non c’entrano nulla Fioravanti, Mambro e Ciavardini. Non è un’opinione: lo so con assoluta certezza».

Intanto prova a resistere. E Fratelli d’Italia, dopo le titubanze, lo difende: «Ha sbagliato ma la richiesta di dimissioni è sovietica». Lunedì, per tutto pomeriggio, fino al post delle scuse arrivato prima dell’incontro con il presidente della regione Lazio Francesco Rocca, avvenuto in serata, tutti titubavano sulle dimissioni del capo della comunicazione istituzionale della regione Lazio. Sabato scorso, dopo il fattaccio, Giorgia Meloni aveva chiamato Rocca: «Sbrigatela tu, ma sbrigati».

Lui aveva risposto un mezzo «obbedisco» ma anche «io non sono di Fratelli d’Italia». «Sentirò cosa mi dirà», ha poi detto lunedì mattina ai cronisti che gli chiedevano di De Angelis. «Ha commesso un errore grave, adesso farò le mie valutazioni ma non ha alcun ruolo politico nell’amministrazione regionale». Come dire: se restasse, in ogni caso non sarebbe interno ai processi decisionali.

«Era il mio portavoce alla Croce rossa», ha spiegato meglio ai suoi collaboratori, «ma non l’avrei nominato mio portavoce qui». Non per i suoi trascorsi – è stato anche parlamentare dopo la prima vita da militante di Terza posizione – ma per questo suo temperamento temerario, imprevedibile, e incontrollabile.

Fra i due però c’è un legame fortissimo, indissolubile, nato negli anni in cui entrambi se la passavano male. Entrambi hanno conosciuto il carcere, anche se per reati diversi. Non sono nodi che si sciolgono senza conseguenze. Entrambi sono politicamente figli e apostoli di Andrea Augello, recentemente scomparso. È stato Rocca a offrirgli, terminata la parentesi parlamentare, la possibilità di una nuova vita nella Croce rossa italiana.

Il tema del Colle

Ma Meloni sa che cosa significa quella frase di Rocca, «io non sono di Fratelli d’Italia». In tutta la vicenda si legge in chiaro un regolamento di conti dentro FdI romana, che presto andrà a un congresso dove si scontreranno l’anima governista, vicina alla premier, e l’anima identitaria, che accusa i governisti di rinnegare tutta la storia di irriducibili antisistema. Gianni Alemanno, da fuori, si è già schierato con l’ex Tp, che del resto ha detto quello che in FdI pensano praticamente tutti e praticamente da sempre.

Da qui la difesa tardiva del partito verso De Angelis: meglio evitare le conseguenze di un allontanamento ruvido.

Il primo post di De Angelis, al di là delle questioni personali (la storia del fratello morto in carcere) va letto come un affondo pesantissimo contro il presidente Ignazio La Russa, l’unico “fratello d’Italia” che sui responsabili del 2 agosto ha usato la parola impronunciabile a destra. Il presidente del Senato aveva detto: «Va doverosamente ricordata la definitiva verità giudiziaria che ha attribuito alla matrice neofascista la responsabilità di questa strage».

«Neofascista», l’aggettivo che neanche la premier ha voluto usare. Fra le righe di quel post c’è il ragionamento di un ex camerata romano verso un ex camerata milanese, con un trascorso di «fascistissimo» – e il busto del duce a casa, fino a pochi mesi fa – eppure più lontano dalle vicende della destra eversiva.

Da chi la vede così, il presidente del Senato si è piegato: perché le parole in libertà su via Rasella, quelle sulla Costituzione che «non è antifascista», la vicenda del figlio accusato di stupro, l’emersione dell’intreccio di rapporti con la ministra Daniela Santanché, ora si sente un sorvegliato speciale. Dal Colle più alto. Che pure formalmente non lo ha mai ripreso, né aveva titolo per farlo.

Sabato sera Rocca aveva assicurato a molti diversi interlocutori che De Angelis era pronto a dimettersi. Poi invece la frenata. Il presidente vorrebbe risolvere la vicenda, e anche la vicepresidente Roberta Angelilli, esponente della (fu) destra sociale, ma la premier e più del presidente (che non è di FdI, le ha sottolineato) deve valutare se la cacciata non apra più problemi di quanti ne chiuda: che succederebbe dentro Fratelli d’Italia se, casualmente s’intende, si infittissero gli attacchi a La Russa? O contro la pattuglia dei governisti, in un partito la cui forza fin qui era proprio la capacità di presentarsi unito?

Tutti i capigruppo di opposizione al Consiglio regionale del Lazio chiedono una seduta straordinaria: «Questa vicenda deve essere discussa nelle sede istituzionali e non lasciata a un colloquio privato tra Rocca e De Angelis».

Tutti chiedono le dimissioni. Il segretario della Cgil di Roma, Natale Di Cola, invoca un procedimento disciplinare per De Angelis in quanto dipendente della regione, in forza del regolamento (art. 8 comma 3): «Il dipendente nella vita privata si astiene da creare condizioni od assumere comportamenti che possono portare danno o creare discredito all’amministrazione di appartenenza».

Tutte le opposizioni del parlamento nazionale cannoneggiano. Meloni vorrebbe risolvere questa storia. Tenerselo significa armare le opposizione, e pazienza, ma soprattutto scavare nuove distanze con il Colle. Cacciarlo significa aprire la faida interna. Un prezzo altissimo, per la premier.

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