Il governo partito con i condoni fiscali adesso difende un tributo che pesa su tutti i consumatori: le accise. La legge di Bilancio non ha prorogato dal primo gennaio lo sconto introdotto dal governo Draghi e le polemiche non si placano. Sia la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, sia il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, su TikTok la prima, in parlamento il secondo, sono intervenuti in prima persona per cercare di convincere tutti che i prezzi dei carburanti su cui pesano 18 centesimi in più al litro non sono così alti, e in fondo era già successo altre volte.

Meloni nel video di circa un minuto ha affermato che sta «monitorando la benzina», ricordando che il 9 gennaio aveva il prezzo medio di circa un euro e ottanta al litro (self service). Senza specificare che il prezzo medio servito di ieri, come ha rilevato Staffetta Quotidiana, il 12 gennaio era a 1,961 euro al litro, mentre il diesel è arrivato a 2,015 euro al litro.

Prezzi così, ha proseguito Meloni che non ha mai detto la parola “accise”, si sono visti anche con altri governi: «Anche con Mario Monti (il presidente del Consiglio tecnico, ndr), anche con Matteo Renzi (presidente del Consiglio allora del Pd)». E, ha concluso  la presidente, «non ricordo le campagne che stiamo vedendo». Dimenticando ancora una volta che la prima a fare campagna contro le accise era lei stessa, quando era all’opposizione. Un’indignazione consegnata a un video nel 2019 a cui è seguito un preciso impegno per ridurre il tributo inserito nel programma elettorale di Fratelli d’Italia. Finora Meloni ha chiarito che non si può rispettare.

Giorgetti

Social a parte, al ministro leghista Giancarlo Giorgetti, è toccato invece il compito di giustificare i prezzi in parlamento, rispondendo al Senato a tre interrogazioni dell’opposizione sul tema: Movimento 5 stelle, Sinistra Italiana-Europa Verde e Partito democratico. «Salvo sporadici casi, – ha replicato il ministro – il prezzo osservato in questi giorni è tornato ad essere prossimo a quello registrato ad inizio agosto 2022».

Per far fronte all’inflazione e venire incontro alle esigenze degli italiani, ha detto ancora, l’esecutivo ha varato con il decreto del 10 agosto «dei buoni benzina ceduti ai lavoratori dipendenti non concorre alla formazione del reddito del lavoro dipendente per una quota di 200 euro».

Il governo, ha proseguito, «è consapevole del fatto che le prospettive economiche e sull’inflazione risentono dell’elevata incertezza, esacerbata dalla crisi ucraina». Già ieri, il non detto è che si è rilevata una brusca inversione di tendenza sui mercati petroliferi internazionali, con le quotazioni dei prodotti raffinati in forte rialzo.

Di fronte a questa incertezza, ha proseguito Giorgetti, «nel Def 2023 sarà messo a punto il quadro previsto macroeconomico e di finanza pubblica e saranno considerati tutti i fattori di rischio legati alla guerra in atto, anche al fine di prevedere ulteriori misure temporanee per il caro energia». Se ne riparla ad aprile.

Un discorso più ampio che arriva fino alle bollette. Ma se le accise che pesano su tutti i consumatori non si toccano, per ora non sono previste entrate straordinarie. «Per quanto attiene alla richiesta di valutare l’opportunità di aumentare la tassazione sugli extra profitti delle imprese energetiche, il governo, nella legge di bilancio per il 2023, ha previsto uno specifico contributo relativo all’esercizio finanziario in corso, in linea con il regolamento adottato in sede europea». Un contributo che l’esecutivo ha riperimetrato rispetto al governo Draghi e che dovrebbe fruttare meno di un terzo del precedente, circa tre miliardi di euro.

I benzinai

Per cercare di intervenire sui costi, palazzo Chigi ha messo in campo martedì “il decreto benzina” che oltre ad aver peggiorato l’umore all’interno della maggioranza, ha messo Meloni in una posizione difficile di fronte ai benzinai, che ieri hanno proclamato lo sciopero per il 25 e 26 gennaio. Prima della versione portata avanti da Meloni e Giorgetti che in fondo prezzi così si erano già visti, il leader della Lega Matteo Salvini e Meloni stessa se la sono presa con i presunti «speculatori», imponendo nuovi obblighi di trasparenza ai gestori e nuove sanzioni.

Peccato però che il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica abbia dimostrato che «la speculazione» in questo caso non c’entri nulla, ma se la benzina e gli altri carburanti sono saliti di prezzo e proprio colpa delle accise.

Di fronte alla minaccia di sciopero, il governo ha deciso di provare ricucire. Il 13 gennaio sono state convocate presso la sala verde di palazzo Chigi le associazioni che rappresentano i gestori: Faib, Fegica e Figisc-Anisa. Ci saranno il ministro delle Imprese  Adolfo Urso, Giorgetti e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. «Quando il governo convoca – dice Alessandro Zavalloni, segretario Fegica -, è buona norma ascoltare quello che ha da dire. Per parte nostra ci aspettiamo prima di tutto che venga ripristinata la realtà dei fatti sull'aumento dei prezzi e sulla piena correttezza del comportamento dei gestori. Poi ci aspettiamo di poterci confrontare sulle proposte per contenere i prezzi».

Per il momento sono molto offesi: «Una intera categoria è stata insultata e infamata in modo ingiusto ed indiscriminato». E, specifica «solo per provare -inutilmente- a dissimulare rispetto all'opinione pubblica scelte squisitamente politiche. Legittime, ma di cui il governo avrebbe dovuto assumere responsabilmente l'intera paternità».

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