Se il minimo indispensabile è il sintomo della solidità di un progetto, Giorgia Meloni ha già vinto, per distacco, tutte le elezioni da qui al prossimo decennio. Perché la leader di Fratelli d’Italia doveva dimostrare che Enrico “Michetti chi?” era il candidato giusto per arrivare al ballottaggio a Roma e che il suo partito poteva dare fastidio alla Lega. Lo ha fatto, ma le percentuali di voto sono così basse, che l’impressione generale non è certo quella di un partito in grado di guidare la coalizione di centrodestra né di governare il paese.

Insomma Meloni ha bisogno di Matteo Salvini. E viceversa. I due dovranno ricordarselo prima o poi, e capire come la competizione che ha di fatto trasformato le amministrative in un regolamento di conti permanente, possa diventare un valore aggiunto per il centrodestra.

Avranno modo di riflettere. Così come avranno modo di riflettere, Meloni soprattutto, su cosa vogliono diventare da grandi. La campagna elettorale si è conclusa con la pagina nera, in tutti i sensi, delle bruttissime compagnie di Carlo Fidanza, eurodeputato che, soprattutto a Bruxelles, veniva presentato come il volto presentabile della “nuova” destra.

A Roma, per vincere il ballottaggio, Enrico Michetti dovrà scegliere se chiedere i voti di Virginia Raggi o di Carlo Calenda che hanno dimostrato di avere più o meno la stessa forza elettorale. Le due cose sono più legate di quanto possa sembrare. Scegliere il dialogo con Calenda, infatti, significa anzitutto liberarsi del fardello del fascismo e di una destra che non può avere diritto di cittadinanza nel nostro paese e nel resto del mondo, per spostarsi verso il centro. Un’abiura che Meloni, fino a oggi, non è stata in grado di fare.

Difficile, probabilmente impossibile, che il risultato di queste elezioni la spingano a compiere il passo necessario. Dopotutto, Fidanza docet, anche con la giacca e la cravatta, la destra di oggi non è molto diversa dalla destra di ieri.

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