L’idea è stata di Igor Taruffi, responsabile organizzazione Pd, dirigente di assoluta fiducia di Elly Schlein non da oggi: è stato l’uomo-macchina della lista Emilia Coraggiosa con cui l’allora promessa leader fece il suo exploit alle regionali del 2020, prese quasi il 4 per cento che le valse la nomina a vice del presidente Bonaccini e soprattutto il salto nella politica nazionale. L’idea, intesa come idea politica e non trovata mediatica, è di organizzare confronti veri, fra esponenti di forze politiche diverse, o dello stesso Pd ma con posizioni diverse.

Dunque alla festa nazionale dell’Unità che si apre domani a Ravenna gli eventi clou saranno i dialoghi impossibili: per esempio quello del primo settembre fra Pier Luigi Bersani, ex segretario dem poi scissionista di Art.1, oggi tesserato semplice del Pd, con Carlo Calenda, leader di Azione. In realtà nelle ultime ore circola la notizia che Calenda rinunci alla serata: ufficialmente quel giorno deve partecipare al Forum Ambrosetti.

Confermato invece il confronto del 9 settembre fra Stefano Bonaccini, presidente dell’Emilia-Romagna ma anche presidente Pd e anche leader della minoranza interna, con Giuseppe Conte, a sua volta presidente del M5s: questo evento rischia forse persino di oscurare il comizio finale della segretaria, il giorno dopo.

I match fra esponenti agli antipodi dovrebbero mettere in chiaro, nelle intenzioni degli organizzatori, che un campo alternativo non è il capriccio della segretaria ma una necessità a cui nessuno può sottrarsi. Nessuno almeno che sostenga di voler battere le destre alle prossime politiche.

Spiega Taruffi: «Il nostro tempo», che è titolo della festa, «è il tempo di trovare un’alternativa per l’Italia. E identificare proposte politiche comuni, come abbiamo fatto per il salario minimo, il filo rosso» di tutta la kermesse.

Quindi delle futuribili alleanze si parlerà, ma non su astratte architetture teoriche, bandite dalla festa, ma su singole questioni concrete. La convinzione di Taruffi è che alla fine le distanze sono più corte di quelle che appaiono dalle polemiche mediatiche. In ogni caso si tratta della declinazione del metodo che Schlein professa: «La linea del dialogo sui temi concreti».

Il metodo ha costruito l’asse delle opposizioni in parlamento sul salario (tranne Iv). Ha già dato qualche frutto: la raccolta online delle firme, nonostante i lazzi delle destre sulla “bucabilità” della piattaforma, oggi è alla soglia di quota 400mila; andrà avanti almeno fino a settembre quando, spiega Arturo Scotto, «scade quella specie di mandato che Giorgia Meloni ha dato al Cnel per formulare una proposta» alternativa a quella delle opposizioni, “sospesa” per 60 giorni alla camera dal voto della destra.

A fine mese in teoria il tema dovrebbe tornare in parlamento. A Ravenna ne parleranno l’ex sottosegretaria Cecilia Guerra (Pd, già Art.1) con l’ex ministra grillina Nunzia Catalfo, il 5 settembre. Il giorno dopo Maurizio Landini, segretario Cgil, con don Luigi Ciotti, fondatore di Libera.

Guerra e pace (nel Pd)

Intanto domani Schlein inaugura la festa lanciando i temi: sanità e scuola pubblica, ma primo di tutto l’alluvione e l’Emilia-Romagna abbandonata dal governo dopo le passerelle di Meloni. Sono stati invitati gli esponenti di tutte le opposizioni, compresa Italia viva (il 4 settembre Maria Elena Boschi discuterà di diritti civili con Alessandro Zan, fra gli altri).

Sulla linea dei confronti fra diversi è anche quello fra l’atlantista Lorenzo Guerini, ex ministro della Difesa, oggi presidente del Copasir e fra i pesi massimi della minoranza riformista, e la pacifista Laura Boldrini, ex presidente della camera, della sinistra Pd. Tema, le politiche per il Mediterraneo. Ma i due sono agli opposti sulle spese militari.

Contraria lei, ultrà lui, che negli scorsi giorni ha corretto la linea della segretaria sul raggiungimento dell’obiettivo del 2 per cento del Pil nazionale da destinare alle armi: Schlein si è accodata al cancelliere tedesco Scholz per il rinvio al 2028, Guerini le ha ricordato che c’è un impegno del parlamento, votato il 16 marzo 2022 che lo assicura entro il 2024: favorevoli Pd e M5s, contrari quelli di Leu (oggi nel Pd) e qualche singolo.

Boldrini votò sì ma dichiarò (è agli atti) di essersi sbagliata e oggi crede che quest’obiettivo «oggi, in tempi di crisi, non è una priorità, le priorità è la sanità pubblica ed oggi accelerare sulle spese militari sarebbe un clamoroso errore politico». Tema incandescente nel Pd. Anche in vista delle prossime europee dove Schlein tenterà di attirare una parte del voto pacifista, forse proprio candidando Boldrini.

Ma da sinistra daranno battaglia i pacifisti dell’alleanza rosso-verde; forse persino incalzati da sinistra da una lista di scatenati antiguerra (e anti-Kiev) vagheggiata da Michele Santoro. «La segretaria vuole inseguire la minoranza della minoranza», è la battutaccia dei riformisti del Pd. Ed è difficile che quella sera non se ne parli.

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