Il “bipartitismo imperfetto” è un concetto entrato nell’uso corrente anche tra i commentatori politici per indicare una situazione in cui esistano due grandi forze politiche con la difficoltà o meglio l’impossibilità di alternanza al governo. Quel concetto, quella definizione, deriva dall’analisi di Giorgio Galli ed è servito da titolo al suo volume più conosciuto.

Galli ha studiato il sistema partitico per trarne la conclusione che in virtù della presenza dei comunisti – quello che verrà chiamato “fattore K” – e del contesto internazionale, fosse impossibile avere alternanza tra maggioranze opposte. Come pure avveniva in Gran Bretagna, Germania, Stati Uniti e come sarebbe accaduto in Spagna, Portogallo e Francia.

Quel volume, oggi probabilmente più citato che letto, del 1966 (Il bipartitismo imperfetto. Comunisti e democristiani in Italia, il Mulino) poneva una questione strutturale: il sistema partitico era bloccato tra due tensioni, quella dei partiti cosiddetti minori (Psdi, Pli, Pri) e la centralità e conseguente indispensabilità della Dc che l’aveva resa perno di ogni governo per quasi mezzo secolo. Lo sfidante principale, il Pci, era egemonico a sinistra (unico caso nell’Europa occidentale dove a prevalere erano i socialisti), ma impossibilitato a governare da solo (neanche con il 51 per cento, come avrebbe scritto Enrico Berlinguer nel 1973). Ne derivava, dunque, una condizione di due grandi partiti alternativi senza che però si potesse produrre alternanza. Giovanni Sartori (1976) ha scritto che in Italia era «impraticabile» proprio per ragioni strutturali del sistema partitico.

Partiti, elezioni e le riviste

Galli si è occupato in forma eterodossa anche del Partito comunista, con una interpretazione che rimandava a Bordiga, al settarismo e che il Pci aveva superato teoricamente nel congresso di Lione del 1926 e sostanzialmente con la “svolta di Salerno”. Un saggio non banale che ha suscitato l’interesse, o meglio una dose di irritazione, di Palmiro Togliatti che lo ha recensito.

Quel testo sui comunisti è valso a Galli molta notorietà, per un promettente studioso che aveva appena trent’anni. Studioso dei partiti, la cui azione meriterebbe di tornare a essere approfondita in forma sistematica e comparata, Galli ha scritto saggi sia sul Partito socialista sia sulla Democrazia cristiana, nonché su uno dei suoi leader, Giulio Andreotti, ma anche un lavoro sui partiti europei proprio a ridosso delle prime elezioni dirette del parlamento europeo. Si è occupato anche della destra e delle origini del fascismo approfondendone i caratteri peculiari ed endogeni rispetto alle interpretazioni di risposta alla rivoluzione del 1917.

Galli è stato una figura intellettuale di grande rilievo, ha ricoperto importanti cariche tra le più prestigiose organizzazioni culturali (direttore della rivista il Mulino tra il 1965 e il 1969 e dell’Istituto Cattaneo tra il 1973 e il 1975), è stato apprezzato editorialista di Panorama e ha tenuto una rubrica su Linus, collaboratore di Critica sociale, a conferma del carattere poliedrico di un pensatore famelico di domande e curioso intellettualmente.

Un libro importante

Di un intellettuale e politologo non allineato, innovatore e anticipatore, offre una disamina accademica, ideale e umana il bel volume curato da Maria G. Meriggi (Per Giorgio Galli, Biblion edizioni). Quasi una dozzina di saggi e alcuni “ricordi” forniscono al lettore una chiara disamina di un influente pensatore che in una fase di contrapposizione ideologica riesce a mettere in luce prima i fatti e le analisi.

Ne emerge l’attenzione non solo per il metodo di studio e ricerca, ma anche per l’attenzione posta alla storia, sovente ignorata, trascurata o lasciata quale orpello.

In Galli è un tratto distintivo che lo pone quale punto di riferimento per lo studio dei partiti in Italia e della partecipazione politica: cura Il comportamento elettorale in Italia, primo di quattro volumi fondamentali supervisionati per l’Istituto Cattaneo, in cui pone in evidenza le continuità socio-demografiche e geografiche del voto tra periodo liberale e fase democratica. Si è occupato anche di terrorismo non solo in Italia, ma del rapporto che aveva con la violenza e la politica e anche dell’influenza dell’occultismo nell’ascesa e nel governo nazista.

Intellettuale non organico

Galli è stato un intellettuale non organico, non schierato per ideologia, ma legato ai fatti sociali e politici e alla loro analisi. Questo il suo tratto distintivo e che gli ha consentito, da pensatore libero, quasi eretico – in una fase di contrapposizione feroce tra “poli opposti” – di influenzare partiti, politica e società.

Professore di Storia delle dottrine politiche, ma anche validissimo politologo che attingeva sapientemente dalla sociologia e dalla storia: una caratteristica non lineare per le norme guida un po’ ottuse della “valutazione” corrente del lavoro degli accademici, ma in realtà ha arricchito di idee e conoscenze Galli e i suoi emuli.

Dai saggi nel volume emerge un Galli colto, raffinato, ma anche con un grande tratto di umiltà e simpatia. Tratti che nell’Italia politica stentano a sopravvivere e sono ormai minoritari elementi tacciati di snobismo.

Un’analisi pungente e non ordinaria e allineata manca oggi nella politica italiana e nell’accademia italiana, sovente conformista e servile, e il gentile graffio intellettuale di Galli sarebbe utile, oggi che non c’è il bipartitismo, ci sono due poli ma senza due partiti forti e forse non c’è nemmeno l’alternanza. Un intellettuale libero come Galli oggi in Italia avrebbe probabilmente vita grama.

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