Se la caduta dei veti reciproci fra Italia viva – verso Conte – e i Cinque stelle – verso Renzi – è arrivata, è innanzitutto grazie al metodo Mattarella. Il presidente della repubblica, considerato un “non interventista”, ha usato un metodo già collaudato nelle sue precedenti consultazioni. E che ha portato ieri sera al conferimento del mandato «esplorativo» al presidente della Camera Roberto Fico. Fico ha qualche giorno per rimettere insieme i cocci della maggioranza. Dovrà riferire entro martedì prossimo.

Nelle trentadue ore di consultazione, annuncia poco dopo le 19 il presidente dal Salone delle feste del Quirinale, «è emersa la prospettiva di una maggioranza politica composta dai gruppi che sostenevano i governi precedenti. Questa disponibilità va verificata nella sua concreta praticabilità». Insomma, la possibilità numerica, e politica, del Conte Ter c’è. Ma è ancora teorica, e al presidente della Camera spetta il compito tutt’altro che scontato di fare un giro di consultazioni per accertarne la fattibilità. È la seconda volta per Fico. La prima risale al 21 aprile del 2018, all’indomani del voto, quando, fallito un primo mandato esplorativo della presidente del Senato Casellati sull’ipotesi di un governo M5s-Lega, Mattarella si rivolse a lui sull’ipotesi opposta, un governo M5s-Pd. Fu Matteo Renzi a mettersi di traverso, il giro finì a vuoto e di lì a un mese vide la luce il governo gialloverde.

Stavolta Fico chiede a tutti «la massima responsabilità». Stavolta la maggioranza andata in crisi in queste ultime settimane c’è ancora, sulla carta parte da una base parlamentare di 321 deputati e 157 senatori a cui si possono sommare di nuovo i parlamentari Iv. Ma dopo la somma arriva la sottrazione: in M5s circolano roboanti annunci di rotture. Non sono molti, ma combinati con il fallimento della pesca dei «responsabili», sono abbastanza da mettere in forse la nascita del Conte ter. Che è l’ipotesi di lavoro del presidente della camera. Se il M5s avesse detto no a Iv sarebbe saltata l’ipotesi anche di un altro premier con la stessa maggioranza.

I tormenti dei Cinque stelle

Mattarella lo ha fatto intendere anche ai più sbadati. È Vito Crimi, da capo della delegazione che sale al Quirinale, ad annunciare il cambio di linea. Il reggente la prende larga. Inizia dando lettura una (presunta) missiva «Caro Vito», è un elettore che lo incita al bene del paese, passando per una dura critica a chi ha aperto la crisi, cioè Renzi. Alla fine la frase arriva: «È il momento di fare un passo avanti, tutti insieme». Tutti insieme: M5s ma anche Iv. Che il giorno prima aveva bocciato, con uno show sgraditissimo al Quirinale, il reincarico a Conte. Poi due successive versioni dell’interpretazione delle parole del senatore fiorentino avevano corretto in una bocciatura «per ora». Il Pd, con molte voci, aveva fatto sapere che non risultava il no definitivo sul reincarico al premier. Ma la condizione posta da Renzi è il riconoscimento di Iv come parte dell’alleanza, dopo due settimane di «mai più» da parte M5s. Un cannoneggiamento iniziato da palazzo Chigi prima delle dimissioni delle due ministre renziane. In Iv c’è voglia di tornare all’ovile: «Se si riprende il filo delle richieste che avevamo messo al centro, ci sono i presupposti per fare un buon lavoro», dice Ettore Rosato. Il Pd accoglie il figliol prodigo: «Ci auguriamo che tutte le forze che si sono dette disponibili a concorrere alla definizione di un nuovo patto di legislatura, siano conseguenti». Ma i problemi, viene spiegato, «si potevano affrontare anche senza fare la crisi di governo».

Ora Renzi, che puntava a disarcionare Conte, è tornato con il cerino della crisi in mano. Gli alleati hanno risposto alla sua sfida, difficile sfilarsi. Ma i guai sono anche dentro i Cinque stelle. L’ex ministra Barbara Lezzi scocca il suo no, e il suo capocorrente Alessandro Di Battista su Facebook annuncia: «Se il movimento dovesse tornare alla linea precedente io ci sono. Altrimenti arrivederci e grazie». Il bilico il senatore Nicola Morra, discusso presidente della commissione Antimafia, ma si annunciano altre defezioni, non necessariamente sulla linea anti Renzi, circola il nome Mattia Crucioli. È la vena aperta che Fico dovrà provare a tamponare. Se fallisce, Conte non avrà l’incarico.

Il centrodestra per ora resta a guardare. Nel gruppone di tredici parlamentari che sale al Colle ci sono Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Antonio Tajani (in rappresentanza di Silvio Berlusconi), e i cespugli. Tutti insieme non certo per coesione – solo Giorgia Meloni è davvero un’irriducibile del voto anticipato – ma per guardarsi a vista. Finché resta in ballo il Conte ter resteranno tutti uniti (forse). «Non penso che da questo parlamento possa venire nulla di utile per questo paese», spiega Salvini. Ma se l’esplorazione di Fico dovesse fallire, il gruppone esploderà.

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