Come pare abbia detto Giorgio Gaber (che doveva intendersene anche per ragioni familiari), quello che si dovrebbe temere di più è il Berlusconi dentro di noi (ma secondo alcuni la frase è di Gian Piero Alloisio). La frase casca a fagiolo adesso che si parla dei lasciti di Berlusconi, almeno per un ambito, quello dell’etica pubblica e della sua percezione.

Berlusconi e l’eclissi dell’etica pubblica

Delle tante cose dette e ricordate di Berlusconi, si potrà dire che la sua figura e le sue controversie giudiziarie siano una delle cause di un certo declino, forse addirittura di un’eclissi, dell’etica pubblica nella società italiana. La disinvoltura morale di Berlusconi è nota, è stata criticata e difesa in pari misura, e gran parte della discussione sul Berlusconi politico è discussione giudiziaria, dibattito sui rapporti fra etica, politica e giustizia.

Eppure, la conseguenza più rilevante di tutto questo non è semplicemente l’allentarsi dei freni inibitori dei politici o del senso di riprovazione dei cittadini. La conseguenza più importante di quello che potremmo chiamare berlusconismo giudiziario è una sorta di annullamento più sottile, di eclissi più insidiosa dell’etica pubblica. E la manifestazione più evidente di questo non è tanto nelle posizioni di Berlusconi medesimo e dei suoi sostenitori, ma è anche e soprattutto nei tic e nelle posizioni dei suoi oppositori.

Berlusconi e il giustizialismo

Berlusconi non inventa la corruzione o il malaffare. La locuzione “mani pulite” era uno slogan della campagna elettorale del PCI del 1975. E Berlusconi, come molti hanno notato, reagisce alle inchieste di Tangentopoli e allo smottamento del sistema politico che esse innescano. Ma Berlusconi inventa, suo malgrado, il giustizialismo, cioè la posizione teorica secondo cui l’unica moralità dei politici, gli unici aspetti etici rilevanti per un giudizio politico, sono quelli giudiziari. Lo inventa quando accusa gli avversari di usare le toghe rosse per delegittimarlo, all’inizio delle sue traversie giudiziarie e da allora sempre, e molti altri con lui.

Ma lo inventa anche quando, prosciolto dalle accuse (l’ultima volta nel processo Ruby ter), pretende di ripartire immacolato. Questo modo di pensare arriva sino alle soglie della seconda elezione di Mattarella. Berlusconi porta a compimento e rende meno sofisticato il rifiuto del processo in piazza che fu tipico della Dc degli anni Settanta, che echeggiava in un famoso discorso di Aldo Moro a difesa di Luigi Gui, ricordato da Leonardo Sciascia ne L’affaire Moro.

Il giustizialismo non è etica pubblica

Il giustizialismo è del tutto opposto all’idea di etica pubblica, che è appunto l’idea che ci siano limiti morali dell’azione politica che vanno al di là dei vincoli giuridici e che la condotta morale dei politici abbia rilevanza per il cittadino democratico, e non per il giudice. Il giustizialismo è del tutto estraneo allo spirito dell’articolo 54 della Costituzione, che impiega termini morali, come “dignità” e “onore”, e non lascia alla magistratura e alle leggi subordinate di stabilire quando ci sia indegnità e disonore.

E quando lo si è fatto, le cose non sono mai andate bene. L’etica pubblica è fiducia nel giudizio dei cittadini e nelle loro opinioni morali sulla convenienza e l’appropriatezza di certe condotte. Nonostante gli strali lanciati da Francesco Piccolo nel suo Il desiderio di essere come tutti (2013) contro la presunta purezza invocata da Camilla Cederna nel suo libro sul presidente Leone, l’etica pubblica è lo spazio degli ideali di eleganza istituzionale e rigore.

Ma questo errore di schiacciare l’etica sul giudiziario ha infettato anche i critici di Berlusconi, dalla Lega della prima ora (quella che agitava le manette in Parlamento) ai girotondini ai Cinque stelle che urlavano «onestà». Il berlusconismo che è in noi è questa specie di disperata supplenza che si cerca nei giudici, questo pessimismo nei confronti dei propri connazionali, questa incapacità di sentirsi minoranza e di provare a diventare maggioranza, questa miopia nei confronti della politica del diritto, cioè delle argomentazioni politiche che raccomandano o scoraggiano l’uso degli strumenti penali. Tutto quello che poi riduce al silenzio quando Berlusconi viene prosciolto. Anche questo dovremmo lasciarci alle spalle, riprendendo il nostro diritto di giudicare moralmente i politici, le loro cene e le loro attività di consulenza.

© Riproduzione riservata