Il testo ancora non c’è, l’accordo neppure. Eppure il tempo stringe. Oggi infatti riprenderanno i colloqui di maggioranza per trovare l'intesa sulla riforma del Mes da approvare mercoledì. Non saranno le riunioni elefantiache a portare la pace nei gruppi parlamentari Cinque stelle, sempre più irrecuperabilmente spaccati tra chi non è disposto ad accettarla e chi spinge per rendere il via libero già anticipato a livello europeo dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri.
La chiave è nella risoluzione che presenterà come atto d’indirizzo al governo la maggioranza: dopo diversi incontri avvenuti nel fine settimana tra ribelli, mediatori ed esponenti del governo, ieri sera il confronto interno al M5s era ancora in alto mare. Alcuni dei parlamentari più intransigenti hanno infatti lasciato il tavolo dopo la notizia che un testo era già stato consegnato a discussione ancora aperta. L'ala governista spiega che si è trattato di un espediente tecnico per evitare che le risoluzioni dell’opposizione venissero discusse prima di quelle della maggioranza, ma che non c’è alcun testo blindato. Ma per i ribelli è la goccia che fa traboccare il vaso: «Occorrerebbe azzerare i vertici che non si sono dimostrati all'altezza. Abbiamo avuto nani là dove servivano giganti», dice Mattia Crucioli, uno dei frondisti più convinti, tra i primi a lasciare la discussione.
Il confronto interno va avanti. Per accettare un accordo, chi ha minacciato di votare no vorrebbe vedere agganciato alla ridiscussione del Mes all’interno della “logica di pacchetto” e almeno un termine temporale che vincoli il governo non soltanto sulla carta. L’ala governista rassicura: l’Italia può comunqe porre il veto in sede di ratifica del Trattato se questo non rispetterà le condizioni stabilite. Ma per i parlamentari firmatari della lettera di dissenso spedita la settimana scorsa ai vertici del M5s tutto questo non ha senso: «Una volta che si dice sì alla riforma tutto il resto è andato, e a non ratificare facciamo pure la figura degli irresponsabili».

La riconquista

Continua intanto il meticoloso lavoro per recuperare i “frondisti” meno convinti. La linea è quella ribadita in questi giorni dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio: chi vota contro la riforma è contro Conte. Il carico  aggiunto dal capo politico Vito Crimi, che ha minacciato di espellere o perlomeno sanzionare pesantemente chi voterà no non è però ormai più un deterrente: «Stiamo cercando di mantener fede al programma per il quale siamo stati eletti, non vedo perché dovrebbero cacciarci», dice Crucioli. Certo, bisognerà vedere in quanti alla fine terranno duro: molti dei firmatari della lettera in queste ore, rispondendo al telefono, prendono tempo dicendo di voler prima vedere il testo della risoluzione.
E non è detto che, arrivati a mercoledì, andrà al voto una sola risoluzione. L’ala governista assicura che quella sostenuta ufficialmente dal Movimento sarà quella della maggioranza. Ma di fronte a un eventuale testo alternativo dei ribelli almeno qualcuno dei colleghi pentastellati s’asterrà. Un altro cattivo segno per l’unità del M5s, dove comunque ormai si dà praticamente per certo l’addio dei cosiddetti irriducibili: sei o sette senatori, sicuramente Barbara Lezzi, Crucioli ed Elio Lannutti e una decina di deputati che si raccoglie attorno a Alvise Maniero, Raphael Raduzzi e Francesco Forciniti.

Orfani di Dibba

A metà pomeriggio i parlamentari governisti danno l’emergenza per già rientrata, «con le perdite che abbiamo già messo in conto». Insomma, il prezzo da pagare per mantenere in vita la maggioranza giallorossaè già fissato. Una parte dei ribelli, però, si sente tradita, dai vertici, ma più di tutti da Alessandro Di Battista. Speravano di vederlo al loro fianco. L’ex deputato è però rimasto nell’ombra. A voler attendere, sembrerebbe, le dimensioni finali dello scontro, per poi valutare dove impiegare le proprie energie. 

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