Rompono o non rompono, stavolta rompono. Indifferenti all’ampiezza del significato del verbo, gli ex amici del Terzo polo, ormai separati in casa nei gruppi parlamentari, sono arrivati al divorzio (tardivo) anche nelle camere.

La voce la fa circolare Matteo Renzi, maestro di plot estivi. Il senatore e direttore del Riformista si voleva inventare un tormentone estivo per tornare sui giornali altrui: l’anno scorso, nello stesso periodo, a poche ore dalla chiusura delle liste per le politiche si era inventato l’alleanza Azione-Italia viva, dopo la rottura di Calenda con il Pd di Enrico Letta. Gli scricchiolii fra i due sono arrivati già prima del voto, la lite qualche mese dopo, quando Renzi ha rifiutato l’unificazione fra Iv e Azione.

Staavolta non riesce a tirarla per le lunghe, perché la notizia – che Renzi cercava di tenere coperta – esce dal partito di Calenda: Italia viva ha fatto sapere ad Azione, e anche alla presidenza del Senato, che lascerà i gruppi sabato. Azione, spiegano fonti interne «non ha nessun commento da fare. Abbiamo ricordato alla presidenza del Senato che il regolamento non prevede alcuna deroga per formare un gruppo da sei. Ogni forzatura del regolamento rappresenta un atto politico grave».

Il derby Twiga-Capalbio

Il casus belli sono le critiche di Calenda a un trio di renziani (Nobili, Boschi, Bonifazi) beccato dal Corriere della sera a cena con Daniela Santanchè al Twiga, lo stabilimento balneare della Versiliana di cui il fidanzato della ministra del turismo ha rilevato le quote di lei (ma lei mantiene degli interessi tramite altre società, come ha rivelato Domani).

Una «questione di opportunità», secondo il leader di Azione: in quei giorni le opposizioni chiedevano le dimissioni di Santanché. Per Renzi è il «derby Twiga-Capalbio», la località tradizionalmente radical dove va Calenda al mare. I renziani Bobo Giachetti e Ivan Scalfarotto vanno più dritti. Il primo: «È il momento di dividere i gruppi. Diamo un elemento di chiarezza». Il secondo: «È il momento di prendere atto che non si può continuare così».

Fino alla comunicazione consegnata al senato, dal lato di Azione nessuno ne sapeva niente. Stessa cosa dal lato di Italia viva. Perché tutta l’operazione, come sempre, è nata e covata nella testa di Renzi. Il leader di Iv a un collega senatore l’ha spiegata così: «Non si può andare avanti in questa maniera, Calenda mi attacca ogni giorno. Dobbiamo preparare le liste per Bruxelles: o si va insieme alle europee o si rompe subito. Ma deve essere lui a chiarire cosa vuole fare».

Chi rompe paga

Ma stavolta è andato tutto più veloce di come lui aveva architettato. Renzi voleva far rompere a Calenda. Calenda lo ha capito e dunque è rimasto zen, entro i limiti di quello che gli è possibile. A Domani il giorno prima spiegava così le voci sulla rottura: «È fallita la promessa di fare un unico partito liberaldemocratico. Renzi ci ha ripensato, per tenersi Iv e tenersi le mani libere, o più probabilmente non lo ha mai voluto. È legittimo. Quello che non è legittimo è che racconti una storia diversa. Ora abbiamo i gruppi parlamentari eletti con il mio nome e il nostro simbolo, che lavorano anche bene, dalla delega fiscale al Pnrr. Ma le distanze politiche aumentano. Se vogliono andarsene, lo facciano pure».

La scelta di come andare alle europee, dal lato Azione, non arriverà entro Ferragosto, come chiede Renzi: «Lo decidiamo a ottobre, faremo una festa e la nostra assemblea nazionale. Tireremo le somme parlando con tutti, da +Europa a Iv ai liberaldemocratici europei».

Non risponde a Renzi. Si concede giusto un tweet: «Salario minimo, riforma del sistema sanitario nazionale e smaltimento liste d’attesa, Pnrr per Industria 4.0, riforma della giustizia, strategia energetica e nucleare, tempo pieno in tutte le scuole. Queste sono le nostre priorità e le cose di cui vogliamo parlare nei prossimi mesi. Tutto il resto è noia. Avanti Azione».

Chi ci ha parlato però sa che il «casinismo seriale» di Renzi – l’espressione è di un forzista – lo ha sfinito più che annoiato, e che non vedeva l’ora che i rapporti si chiarissero. Cioè si rompessero i gruppi e ciascuno a casa sua. Casetta, in realtà: a Montecitorio gli azionisti hanno 11 deputati e i renziani 10, e ciascuno può fare un gruppo a sé.

A palazzo Madama Iv ha 6 senatori e Azione 4, quindi i renziani possono chiedere una deroga al presidente, mentre i calendiani finirebbero nel misto. Se le cose precipitano, spiega un azionista, quell’approdo «non è evitabile». Più avanti Calenda potrebbe bussare al gruppo delle autonomie. «Ma il problema è anche loro: per la deroga ne servono 9».

Qui si inserisce Cateno De Luca, leader di Sud chiama Nord: a Roma ha due parlamentari: uno è al senato. Ma avverte: «Cari Matteo e Carlo non disturbatemi, i miei non verranno nei vostri gruppi». Allora a Iv servirebbe una buona parola con il presidente del senato. E qui, chissà se è un caso, si torna alla cena del Twiga con Santanchè, grande amica del presidente La Russa. Ma Azione gli ha già mandato il messaggio: «Ogni forzatura del regolamento rappresenta un atto politico grave».

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