Una fiammella che divide invece di unire. Tanto che sono arrivati i fischi alla rappresentanza leghista. E del resto per gran parte della destra l’adesione alla fiaccolata per Aleksej Navalny è arrivata più per dovere che per convinzione, sminuendo il senso della mobilitazione. Il partito di Matteo Salvini ha vissuto come un’incombenza inevitabile la partecipazione alla manifestazione per commemorare la figura del dissidente russo, organizzata ieri a Roma. Non è stato da meno il Movimento 5 stelle, che ha colto l’occasione – ancora una volta – di rompere l’afflato unitario delle forze di opposizione, buttandola sullo scontro con Matteo Renzi. E infilando qualche distinguo: «Saremo anche a ricordare Jamal Kashoggi, ucciso da bin Salman dove qualcuno va a prendere i soldi per fare conferenze», ha attaccato Riccardo Ricciardi, deputato del M5s, parlando alla Camera. Il clima di unità nazionale contro l’orrore dell’autocrazia putiniana è durato poche ore. Ammesso che ci sia mai stato. Tradendo nei fatti l’idea del padre della manifestazione, Carlo Calenda, che comunque ha manifestato soddisfazione: «Sono contento che tutte le forze politiche ci siano. È un segnale importante».

Controattacco Lega

Ma dietro la facciata, a destra l’imbarazzo per il passato non si può nascondere con un’alzata di spalle. Non è un segreto l’antica fascinazione di Salvini nei confronti di Putin. Una posizione corretta, per forza di cose, con la guerra in Ucraina. La Lega aveva così pensato di cavarsela con le presenze di Simone Billi, deputato eletto all’estero, e del senatore Andrea Paganella, due figure minori. Peraltro, con un’operazione spericolata dal punto di vista mediatico: come anticipato da Huffington post, Paganella era in Russia, nel 2018, con il leader Salvini. Poi, però, al Campidoglio si è fatto vedere anche il capogruppo al Senato, Massimiliano Romeo: «Sull’omicidio Navalny solo un sospetto ma non abbiamo certezze». Per questo ha subito la contestazione di alcuni presenti. E il leghista ha trovato il modo di rovesciare il tavolo: «Ci sono presidenti del Consiglio che hanno stipulato accordi con Putin per l’energia». Un tentativo di prendersela con Romano Prodi, ma che finisce per colpire anche Silvio Berlusconi.

Nemmeno il partito di Giorgia Meloni si è scaldato per la fiaccolata. Fino al primo pomeriggio di ieri non aveva ancora deciso la delegazione da mandare all’iniziativa, nascondendosi dietro i tempi dei lavori parlamentari (si votava la fiducia al Milleproroghe). La manifestazione non era una priorità per Fratelli d’Italia. Alla fine ha schierato in prima fila i capigruppo, Tommaso Foti e Lucio Malan, insieme ad altri parlamentari. E il deputato Massimo Milani ha etichettato Putin come un «epigono del vecchio regime comunista». Da parte sua Forza Italia è netta dai primi step. Il segretario Antonio Tajani ha lanciato un segnale chiaro agli alleati, incontrando a Bruxelles la vedova di Navalny, Yulia Navalnaya. In quella sede ha rivendicato la bontà delle sanzioni alla Russia rinnovando la richiesta di verità sulla morte dell’oppositore di Putin. Anche Maurizio Lupi di Noi Moderati non ha avuto problemi prendere una posizione netta: è stato l’unico leader del centrodestra a parlare in aula.

Distinguo a 5 stelle

La manifestazione pro-Navalny, e inevitabilmente anti-Putin, ha raccolto l’immediata adesione da parte della segretaria del Pd, Elly Schlein, dei leader di Avs, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni e del segretario di +Europa, Riccardo Magi. Nessun tentennamento di fronte al richiamo della piazza lanciato da Calenda, che – almeno per qualche ora – ha siglato una tregua con Italia viva. Il partito di Renzi ha rilanciato con un’operazione politica al Campidoglio: la presentazione di una mozione per intitolare a Navalny la via dell’ambasciata russa a Roma.
Gli occhi erano puntati sul Movimento 5 stelle, che da mesi osteggia l’invio di armi in Ucraina. E che ha palesato un certo disagio rispetto ad alcune battaglie di Navalny. «Non potremmo condividere tutte le sue posizioni politiche, in particolare quelle ispirate a un nazionalismo radicale, ma ci inchiniamo di fronte alle sue battaglie per la libertà di opinione, al suo coraggio nella sfida contro il regime putiniano», ha scritto sui social, Giuseppe Conte – assente alla manifestazione per «pregressi impegni».

Nello stesso post ha poi ricordato la battaglia per Julian Assange, tracciando una sorta di parallelo, seppure per ammissione dello stesso Conte siano «due casi completamente diversi». Il M5s ha provato a sminare il terreno delle polemiche, mandando in piazza due cariche istituzionali di peso: i capigruppo di Camera e Senato, Francesco Silvestri e Stefano Patuanelli. Restano le parole di Conte più che i volti. La vicenda Navalny, infine, ha rinfocolato le tensioni sulla gestione dell’ordine pubblico. L’identificazione dei manifestanti, che a Milano hanno deposto un fiore in memoria del dissidente russo, ha fatto protestare le opposizioni. «Un’operazione normale, non c’è compressione delle libertà», l’ha definita il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, trovando la controreplica del senatore dem, Filippo Sensi: «Se per lui è normale, il problema è Piantedosi». E così la vicenda finirà in parlamento con un’interpellanza urgente.

© Riproduzione riservata