Mentre le proporzioni del caso Salis aumentano, le strategie di Fratelli d’Italia e della Lega nella narrazione del caso divergono in modo evidente.

Da un lato i ministri del governo e la stessa Giorgia Meloni, pur ancora in silenzio, si stanno attivando per far ottenere gli arresti domiciliari alla trentanovenne milanese, detenuta da oltre 11 mesi in un carcere in Ungheria e portata al suo processo ammanettata e con una catena in vita.

Dall’altro, la linea leghista è quella di seminare dubbi sul profilo della donna, militante antifascista e maestra elementare, arrestata a Bucarest il 11 febbraio scorso con l’accusa di aver colpito con manganelli due persone che avevano preso parte alla manifestazione di estrema destra organizzata quel giorno in città. I feriti hanno riportato lesioni curabili in 8 giorni, Salis invece è detenuta da quasi un anno con l’accusa di lesioni che avrebbero potuto portare anche alla morte della vittima e di partecipazione a una associazione estremista. L’accusa per lei ha offerto un patteggiamento a 11 anni di carcere, a processo ne rischia fino a 24.

Salvini: «Assurdo che faccia la maestra»

La Lega si è da subito mostrata fredda nello stigmatizzare il caso, scoppiato dopo la pubblicazione del video e delle foto della detenuta che arriva in aula ammanettata e al guinzaglio di una guardia carceraria.

Oggi Matteo Salvini ha enfatizzato la linea già seguita dai suoi: «E' fondamentale chiedere condizioni di detenzione civili, umane e rispettose, e un giusto processo», ha premesso, ma «qualora fosse ritenuta colpevole, atti di violenza imputabili a un'insegnante elementare, che gestisce il presente e il futuro di bambini di 6-7-8 anni sarebbero assolutamente gravi».

Il ministro ha aggiunto che «Se fosse dimostrata colpevole, ovviamente sarebbe incompatibile con l'insegnamento in una scuola elementare italiana» ha concluso. Come se, qualora Salis venisse condannata alla pena ultradecennale prevista in Ungheria, si potesse pensare a un suo ritorno a scuola. 

Vale ricordare che anche nell’ultima udienza, Salis si è sempre dichiarata innocente riguardo al pestaggio, di cui esiste un video con gli autori coperti da passamontagna.

Su questo è arrivata la replica della segretaria dem Elly Schlein: «La Lega anziché battersi per non vedere calpestata la dignità di una cittadina italiana si mette a rovistare nel suo passato», e «in questa nostalgia di Medioevo dove sparisce la presunzione di innocenza Salvini si spinge ad affermazioni di un paternalismo insopportabile, ma se sostiene che chi è accusato di lesioni non possa fare la maestra allora viene da chiedergli come possa, chi è accusato di sequestro di persona, fare il ministro».

La fake del gazebo

La Lega, tuttavia, ha scelto di sposare la narrazione che sposta l’attenzione dall’inaccettabile condizione detentiva di Salis alle ipotesi di reato per cui è imputata.

L’intento – come anche denunciato dal padre della donna – sembra quello di screditare Salis, portando la questione del reato di cui è accusata come un argomento sullo stesso piano delle sue condizioni detentive.

Una mossa in questo senso è stata quella fatta dal partito, di richiamare un episodio risalente al 2017 a Monza, quando un gruppo di militanti vennero aggredite e insultate ad un gazebo della Lega.

Per quel caso, sotto processo era finita anche Ilaria Salis e il partito di Salvini ha provato a fare leva anche su questo, parlando di «aggressione fisica che non può restare impunita» ed esprimendo la volontà di promuovere azioni legali.

Peccato che il caso sia già stato chiuso lo scorso dicembre con l’assoluzione di tutti gli imputati per non aver commesso il fatto. Nessuno dei quattro imputati, tra cui Salis «appare aver partecipato all'azione delittuosa commessa dai compagni di corteo, nè pare averli in qualche modo incoraggiati o supportati moralmente», ha scritto il tribunale di Monza nelle motivazioni.

La prova decisiva dell’innocenza è stata un video, tanto che anche il pubblico ministero si è espresso per l’assoluzione degli imputati.

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