Il Pd rielegge alla guida dei suoi gruppi parlamentari le due presidenti uscenti e oggi proporrà Anna Ascani per la vicepresidenza della camera e Anna Rossomando per quella del senato. Per le prime due si procede per acclamazione. Applausi dunque per Simona Malpezzi negli uffici del senato, a mezzogiorno e nel pomeriggio per Debora Serracchiani in quelli di Montecitorio.

In entrambi i casi non si vota. E così si evita eventualmente di certificare, in un ramo e nell’altro del parlamento, qualche eventuale malumore che attraversa gli eletti democratici nei confronti della scelta imposta da Enrico Letta. Tutti d’accordo, almeno all’apparenza, sulla conferma di due donne, per riequilibrare la scarsa presenza femminile nei gruppi. Ma l’ala sinistra avrebbe preferito un avvicendamento per segnalare di più il passaggio del Pd a quella che il segretario definisce «opposizione intransigente».

Alla camera intervengono solo Andrea De Maria, Arturo Scotto (di Art.1) e Andrea Orlando. Il ministro uscente ripete ai cronisti il suo ragionamento: capisce i motivi che hanno spinto Letta a non cambiare la squadra, ma «non può diventare un metodo», «l’unanimismo in un gruppo è un valore se non produce una afonia rispetto a questioni decisive». E ora serve marcare bene l’identità: «Dobbiamo definire una piattaforma di opposizione sulla base delle prime scelte che faremo. Dovremmo individuare subito cinque o sei questioni su cui incalziamo il governo».

Letta chiama, zero risposte

La direzione che avvierà ufficialmente il congresso è rimandata a dopo la formazione del governo. Letta invece annuncia per l’immediato – oggi saranno eletti i vicepresidenti, questori e segretari d’aula – «un lavoro di raccordo con le altre opposizioni». «Poi c’è una serie di partite dei prossimi giorni, delicate, con le giunte e le commissioni bicamerali».

Il punto è che il «lavoro di raccordo con le altre opposizioni» stenta a partire. I rapporti con i Cinque stelle sono scarsi, e quasi completamente affidati al coordinatore Marco Meloni. E Giuseppe Conte, dopo aver annunciato l’elezione dei suoi presidenti di gruppo (Barbara Floridia al Senato e Francesco Silvestri alla Camera), si prende il gusto di rispondere picche: «È inutile fare discorsi a tavolino o accordi preventivi, l’opposizione la si dimostra facendola e vedremo chi vorrà condividere la nostra linea intransigente o chi vorrà fare, qualche prova l’abbiamo già avuta, la stampella alle forze di maggioranza».

Anche con Azione e Italia Viva i ponti sono già saltati: accusano i giallorossi di trattative a due e oggi non parteciperanno al voto sulle vicepresidenze (la decisione ufficiale arriverà stamattina). Per Letta «ogni giorno arrivano attacchi insopportabili nei nostri confronti. Un atteggiamento compulsivo che è oggettivamente complicato». Calenda replica a stretto giro: «Nessun attacco insopportabile, ma la constatazione che avete raggiunto accordo con M5s per spartirvi le vice presidenze. Amen. Per quanto ci riguarda ti abbiamo mandato un piano sulla riduzione delle bollette proponendo di discuterne insieme. Aspettiamo risposta».

Il derby Carlo-Matteo

Ma anche Calenda ha i suoi guai. Nel pomeriggio fa sapere che Renzi non farà parte della delegazione del “Terzo Polo” che salirà al Colle per le consultazioni. Il leader di Iv, spiega, «ha fatto un passo indietro» e «ha molti impegni istituzionali». L’annuncio diventa un caso: sono già arrivati ai ferri corti? Anche perché se i due insieme accusano Letta di intelligenza con il nemico (Conte), e si spartiscono equamente i capigruppo (Matteo Richetti alla camera e Raffaella Paita al senato), poi fra loro hanno qualche divergenza: per ora sui nomi.

Renzi spinge, come sempre, Maria Elena Boschi verso la presidenza della Vigilanza Rai o la vicepresidenza della Camera (ma senza accordo con le altre opposizioni, con i voti di chi?); Calenda ritiene che se c’è un posto d’onore, quello spetta a Mara Carfagna o a Mariastella Gelmini.

Comunque tutti si precipitano a smentire, Calenda accusa la stampa e assicura che fra loro due «il clima è ottimo», sarebbero già d’accordo sul fatto che lui stesso avrà la presidenza della futura federazione fra Iv e Azione, che dovrebbe arrivare entro novembre, e che le decisioni «saranno prese da un organo collegiale». Obiettivo, un partito unico alle europee del 2024

Eppure il sospetto che l’ex ministro cominci a prendere le misure con il protagonismo del suo alleato era venuto già al momento del voto di Ignazio La Russa al senato. Calenda aveva negato qualsiasi responsabilità dei suoi, allontanandosi dall’assalto dei cronisti. Renzi invece era rimasto a lungo in mezzo ai capannelli, prendendosi tutta la scena.

Niente fronte

Se ne riparlerà. Per oggi, e per il futuro, le opposizioni procedono in ordine sparso. Letta sembra non rendersene conto quando ai suoi deputati spiega che «anche la camera è un luogo nel quale è possibile rovesciare la maggioranza. Molti deputati andranno al governo, questo darà spazi numerici per noi. Hanno parlamentari che non vengono mai».

Parla da leader dell’opposizione. Ma già l’elezione dei vicepresidenti sarà un test di questa sua leadership. Che al momento nessuna fra le forze della minoranza è disposto a riconoscergli. Anche perché il segretario continua a picchiare sul tasto dell’elezione di La Russa, accreditando la tesi che ci sia lo zampino di Renzi: «La scelta al Senato è stata di scarsissima intelligenza politica. C’era la possibilità di mettere in difficoltà subito la maggioranza, ma c’è chi ha deciso e pensato a piccoli giochi e scambi. Non l’ha fatto per caso ma per avere contraccambi, chiarissimo».

Chiarissima è la sua allusione. Lo si capirà oggi, al voto delle aule, e poi fra due mesi quando si costituiranno le commissioni bicamerali. La presidenza del Copasir spetta per legge alle minoranze, il candidato naturale è l’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini (anche se peserebbe l’ostilità dei “neopacifisti” M5s). In quella della Vigilanza è possibile invece il concorso determinante delle destre.

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