Una campagna referendaria iniziata almeno con un anno di anticipo. Molto prima dei passaggi parlamentari previsti. Giorgia Meloni ha deciso di intestarsi la battaglia per la riforma della Costituzione con un video-spot arrivato in larghissimo anticipo, diffuso sui suoi canali social.

Il premierato all’italiana, vaticinato dalla ministra Elisabetta Casellati, diventa il premierato di Meloni, che bypassa le intermediazioni come stile comunicativo dominante. «Ci ha messo la faccia», sostengono i suoi fedelissimi, rivendicando la prova di forza. Lo sguardo è lanciato alla Terza Repubblica.

Addio dialogo

La possibilità del confronto in parlamento sembra già archiviata, è scoccata l’ora della propaganda, della necessità di spiegare ai cittadini la bontà della riforma battendosi contro le opposizioni pronte alle barricate. Eppure, la presidente del Consiglio aveva avuto già modo di spiegare la ratio del testo nel corso della conferenza stampa di presentazione. Non le è bastato. Il filmato degli “Appunti di Giorgia”, la sua rubrica ripescata ogni volte che serve, ha saltato a piè pari qualsiasi ipotesi di confronto. La donna sola al comando ha rotto gli indugi.
Meloni si colloca così nella scia di Matteo Renzi che si era spinto un passo in avanti con il celebre annuncio: ­«Se perdo lascio la politica». La premier smentisce di voler seguire la stessa logica. L’ordine impartito da Palazzo Chigi al corpaccione di Fratelli d’Italia è quello che il mandato della premier non dipende dal via libera alla riforma.

E poco conta che si inneschi un cortocircuito: a parole viene smentito il “modello-Renzi”, quello del referendum personalizzato, per quanto venga di fatto praticato. Ha voluto imprimere il proprio marchio, osservano nella maggioranza. «Sarebbe stato logico a pochi mesi dal referendum, ora ha un senso diverso», evidenziano anche nel centrodestra.

Alleati e dubbi

L’accelerazione ha infatti colto di sorpresa gli stessi alleati, Forza Italia e Lega, che hanno preso atto di una questione tutta politica: Meloni ha scelto di personalizzare la sfida, prima ancora che il testo arrivasse al Senato dove avvierà l’iter di discussione.

All’interno di Forza Italia è montato un particolare scetticismo: «Sarebbe opportuno una maggiore cautela sul tema per tenere aperto un confronto con le altre forze parlamentari», ragionano i berlusconiani, evitando al momento di uscire allo scoperto. Sul parallelismo con Renzi, a microfoni spenti, più di qualcuno ammette nella maggioranza: «È evidente che abbia deciso di fare un referendum su se stessa». Cosa succederà dopo? «Chissà, ora è tutto prematuro», si muovono con prudenza anche in Fi.

Nella Lega, la mossa è stata interpretata come un cambio di passo nella strategia. E probabilmente come un’intenzione di spingere sull'acceleratore anche in parlamento per arrivare a un doppio “sì” entro le Europee.

Così, seppure in maniera indiretta, la risposta è stata affidata al capogruppo al Senato, Massimiliano Romeo: «Va bene il premierato, ma insieme all’autonomia», ha sostenuto in un’intervista al quotidiano La Verità. Il vicepremier Matteo Salvini ha fatto passare il messaggio: Meloni può intestarsi la riforma del sistema istituzionale, ma i leghisti devono portare a casa la propria bandiera politica.

Qualche paletto arriva da un altro alleato del centrodestra, il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro: «Se prendi meno del 40 per cento, secondo me ci deve essere un ballottaggio». Nessuno tra gli alleati, insomma, ha compreso la voglia di accelerare, è stata l’ennesima iniziativa non concordata. Il ritmo veloce della propaganda deve però fare i conti con un dato di realtà, di un cammino della riforma inevitabilmente lungo: il giudizio referendario arriverà solo dopo i passaggi parlamentari.

Premierato Meloni

«Quel video è una legittima parte di comunicazione con cui Meloni cerca di trovare consenso popolare nella riforma», minimizza Gianfranco Rotondi, deputato di estrazione democristiana e oggi nel gruppo alla Camera di Fratelli d’Italia. Insomma, è una fisiologica azione di propaganda. Non è un rifiuto del dialogo, secondo la lettura dell’ex ministro del governo Berlusconi.

«Ma c’è», dice a Domani Rotondi, «un altro elemento da valutare. Il confronto di Palazzo per cui bisogna cercare un dialogo con la sinistra. Meloni ha già rinunciato al presidenzialismo, avanzano una proposta più garbata anche nei confronti del Quirinale. Ma il Pd sinora è fermo sulla posizione dell’intangibilità della Costituzione, teorizzata dal costituzionalista Leopoldo Elia».

Nella sua ottica il parlamentare eletto nelle liste di Fdi vede, però, uno spazio di dialogo e quindi di modifica della proposta di premierato: «Proprio Elia, però, aveva indicato una possibile riforma con il cancellierato». Non tutto è definito.

E il modello istituzionale tedesco potrebbe essere il punto di caduta. Se non sarà utile a trovare un’intesa unitaria in parlamento, quantomeno potrà spaccare il fronte della maggioranza.

Le parti più moderate del centrodestra sono sensibili a un discorso orientato al cancellierato. Il leader di Azione, Carlo Calenda, ha fiutato l’aria: «Prendiamo il modello tedesco, perché i modelli istituzionali non li puoi inventare, li devi prendere da quelli che funzionano. La Germania funziona», ha detto in un colloquio con l’agenzia Adnkronos. «Siamo sulla strada sbagliata, se pensiamo che un problema di primi ministri che perdono consenso», ha quindi aggiunto Calenda.

Ma il piglio di Meloni è quello di chi non cerca il vero dialogo: la proposta illustrata nel video è sul tavolo, nello stile prendere o lasciare. Tanto che la presidente del Consiglio ha mostrato la stanza di Palazzo Chigi che ospita le immagini dei predecessori, sottolineando che la sua foto sarà messa tra molto tempo.

«Almeno quattro anni», ha detto. Con una speranza: che siano molti di più con il via libera alla riforma della Costituzione. Quello che sogna di trasformare nel premierato di Meloni.

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