Il reddito di cittadinanza è subito stato individuato dal governo Meloni come il serbatoio da cui ricavare risorse in tempi di ristrettezze di bilancio. Tra il consiglio dei ministri e l’aula della Camera, l’assegno ha subito un nuovo taglio: da otto a sette mesi per gli occupabili e, grazie a una proposta di Noi Moderati di Maurizio Lupi, è stata eliminata anche la parola congrua dalla definizione delle offerte di lavoro che i beneficiari di reddito sono tenuti ad accettare. 

Nella teoria una offerta «congrua» deve essere sopra la soglia degli 858 euro mensili, quindi vengono eliminati i part time, deve corrispondere all’80 per cento del tempo previsto dall’ultimo contratto, non deve essere inferiore ai tre mesi e deve essere all’interno di 100 chilometri o raggiungibile entro 100 minuti con il trasporto pubblico nel caso della prima offerta.

Si tratterebbe quindi di costringere beneficiari costringendoli per esempio ad accettare offerte molto distanti da casa loro (gli altri criteri dovrebbero essere modificati anche secondo il comitato di valutazione sul reddito di cittadinanza del ministero del Lavoro perché non adatti alle condizioni di persone che sono già difficilmente occupabili). 

La verità dei centri per l’impiego

La verità, dice Tiziano Barone il direttore di Veneto Lavoro, l’agenzia che gestisce la rete di centri dell’impiego della regione Veneto, è «che stiamo parlando di nulla». I centri per l’impiego, o almeno quelli che funzionano, si preoccupano che il beneficiario di reddito si candidi alle offerte con un curriculum redatto adeguatamente, ma «non c’è alcun obbligo al momento né per le imprese, né per il percettore di comunicare al centro per l’impiego se il beneficiario ha rifiutato una offerta congrua. I dati sulle offerte congrue non li abbiamo», spiega Barone.

La norma è stata scritta da chi non conosce come funzionano le cose o come non funzionano. Quello che resta è solo un risparmio sulla pelle di chi ha più bisogno, i problemi del sistema delle politiche attive restano tutti lì. 

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