Salta di colpo la trattativa con l’ex premier Giuseppe Conte sul nome di Nicola Zingaretti candidato al Campidoglio, quando ormai in troppi erano convinti che il successo era cosa fatta. Nel primo pomeriggio accade quello che nelle chat di una parte dei notabili Pd viene definito senza mezzi termini «un macello». Alle cinque e mezza Roberto Gualtieri, il nome tenuto per più di un mese in freezer nella speranza che si materializzasse la congiuntura astrale favorevole alla corsa del presidente della Regione Lazio, twitta: «Mi metto a disposizione di Roma, con umiltà e orgoglio. Partecipo alle primarie del 20 giugno. Costruiamo insieme il futuro della nostra città: io ci sono!».

Conte ha trattato per settimane con Francesco Boccia. Ma ha parlato anche con il segretario Enrico Letta. E con tutti si era impegnato a trovare il modo di convincere i Cinque stelle della regione Lazio a restare in giunta anche se il loro presidente sarebbe diventato l’imbattibile sfidante della sindaca. Ci ha provato anche il ministro Luigi Di Maio. Ma la sindaca Virginia Raggi in questi giorni è stata irremovibile: per lei era  irricevibile la proposta di abbassare la tensione polemica con Zingaretti e avviarsi a un’intesa di qualche tipo, almeno sul secondo turno. Del resto neanche per Zingaretti sarebbe stata una passeggiata tenere come avversario principale le destre, dopo anni di duelli con la sindaca. 

Ma l’irreparabile arriva dalla regione. Roberta Lombardi, da due mesi assessora alla transizione ecologica e digitale della regione Lazio, era più possibilista su un’intesa. Ma la collega Valentina Corrado, a sua volta assessora al Turismo, fa circolare un avviso ai naviganti: fa sapere di avere pronta la lettera di dimissioni in caso di corsa al Campidoglio del «suo» presidente. È una posizione concordata con Raggi. E i Cinque stelle non possono rischiare di consegnare la sindaca e i suoi sostenitori a Alessandro Di Battista, forse alla corte di Casaleggio. Le due assessore scelgono di fare una nota congiunta:  è «innegabile il forte imbarazzo che una eventuale candidatura di Nicola Zingaretti per le Comunali di Roma porterebbe nella neonata alleanza regionale», «La volontà di tutti è quella di non far naufragare l’intesa ancora in costruzione anche nel resto del Paese che, per quanto riguarda il lavoro regionale, ha delle basi concrete». Se non è una minaccia, poco ci manca. C’è da finire la campagna vaccinale, da varare misure per le famiglie e per le attività produttive, «Non certo mesi di campagna elettorale anticipata da affrontare. Ci spiace che su Roma non si sia trovato un progetto concreto per la città che abbattesse i muri della discordia per avviare un lavoro in sinergia in linea con le dinamiche nazionali e regionali per il bene della città». Spiace. Ma non si può fare. Il paradosso è che per la maggioranza di centrosinistra i voti M5S sono solo aggiuntivi. Ma il messaggio è per Zingaretti: se corresse si troverebbe come avversario il movimento. Anche in regione.

Conte ha provato a mediare, ma non è nelle condizioni di condizionare i suoi. E questa è una dura verità che da oggi con cui il Pd, che conta su di lui per costruire l’alleanza, deve fare i conti. Nel  pomeriggio l’ex premier getta la spugna. A LaStampa.it consegna parole che suonano come una resa. Raggi ha il sostegno di tutto il movimento perché è «un ottimo candidato». Si augura che il candidato Pd «non metta in discussione il lavoro comune» alla Pisana che merita «di essere portato a termine fino alla fine della legislatura».

La doccia fredda arriva su un Nazareno che invece ha creduto fino alla fine alla possibilità di trovare un accordo. Da lì  viene spiegato che il tentativo di far ritirare Raggi «andava verificato fino in fondo». Il punto era capire se c’era una possibilità di far ritirare Raggi. Non c’è. Quindi si prosegue sullo schema delle primarie, che del resto Enrico Letta aveva indicato sin dal suo insediamento. «Gualtieri è in campo da sempre», è la constatazione, e comunque anche lui ha «ottimi sondaggi. La scelta finale è stata quella di non mettere a rischio la regione durante la delicata fase delle vaccinazioni. Zingaretti, che aveva rifiutato la corsa proprio per questa «ragione politica» negli ultimi giorni aveva dato una disponibilità a che Boccia tentasse un accordo. Resterà al suo posto. Ma certo ammaccato dal braccio di ferro perso dai suoi con i M5S. A uscire ammaccato è però anche il Nazareno, ora anche la sospirata alleanza a Napoli balla. E pure tutto il castello della nuova coalizione con i Cinque stelle.  Carlo Calenda, in corsa a Roma per Azione e Italia viva, ironizza fino al sarcasmo: «Il candidato del Pd a Roma lo hanno scelto sostanzialmente i 5 stelle, con il sostegno di Conte alla Raggi e minacciando di far cadere la Regione in caso di candidatura di Zingaretti. Alleati sinceri e affidabili. Dopo le primarie ci confronteremo».

Ma anche le primarie, che si svolgeranno il 20 giugno, a questo punto cambiano un po’ di senso. Paolo Ciani, di Demos, e Tobia Zevi, hanno accolto il via libera ai gazebo confermando la loro partecipazione. Ma nel frattempo il Pd romano blinda Gualtieri, alla cui immagine questo mese di stand-by non ha fatto bene. E un partito che deve serrare i ranghi intorno a un nome fin qui considerato una seconda scelta, modifica il clima della competizione, tradizionalmente aperta e in grado di rimescolare le carte. 

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