L’opposizione resiste, riesce a mettere in piedi un ostruzionismo senza sconti, e alla fine riesce a comprare tempo. Intanto riesce a sventare il piano della maggioranza: che voleva archiviare prima possibile la discussione sul salario minimo votando un emendamento soppressivo alla proposta di legge in discussione alla commissione lavoro della Camera.

Perché tanta fretta? Perché è un tema che fa male alla destra: al tema sono sensibili anche i suoi elettori. Lo dicono anche i sondaggi, ammesso che ce ne fosse bisogno.

Ieri il secondo match maggioranza-opposizione in commissione, dopo la seduta notturna di martedì in cui era intervenuta Elly Schlein. Quasi quattro ore di interventi della minoranza (unita, tranne Iv). Siparietti memorabili. Stavolta a partecipare alla maratona oratoria arriva il rossoverde Nicola Fratoianni: «Avete vinto le elezioni al grido ’siamo pronti’ e dopo quattro mesi di audizioni ci spiegate che avete chiesto un rinvio perché non siete pronti ad avanzare una proposta?».

Obiezione fondata: la destra ha presentato un emendamento soppressivo della proposta di salario minimo a nove ore perché, lo hanno ammesso in molti, non ha una proposta alternativa. Ci sarebbe in gestazione una riforma complessiva del lavoro, in autunno, per ora siamo alle vaghe stelle dell’Orsa.

Ma a fare saltare i nervi a Walter Rizzetto, presidente Fdi della commissione, è Giuseppe Conte, anche lui arrivato a dare manforte ai suoi. Rizzetto sostiene che la discussione va rinviata. Si scatena la bagarre: il presidente M5s rinfaccia a Rizzetto di aver presentato anni fa una pdl sul salario minimo e lo invita a ritirarla fuori: «Sono pronto a valutarla con le altre forze politiche, altrimenti qui non c’è nulla da rinviare perché ci sono lavoratori che si spaccano la schiena dalla mattina alla sera e portano a casa anche due euro lordi l’ora».

Rizzetto gli contesta che anche la destra parla con i lavoratori. «E cosa le hanno risposto, che va bene così?». Qui Arturo Scotto, capogruppo Pd in commissione, invita Rizzetto a lasciare il ruolo istituzionale, se vuole battibeccare con l’opposizione. Cosa che Rizzetto fa, ma con stizza.

Ma il dibattito è andato troppo avanti. Una riunione dell’ufficio di presidenza riaggiorna tutti a martedì 25 luglio. Scotto esulta: «Sono molto soddisfatto del rinvio del voto. La maggioranza ha il tempo per poter rivedere la propria posizione e ritirare l’obbrobrio dell’emendamento soppressivo».

La maggioranza mastica amaro per non aver potuto portare a casa subito la soppressione del testo. Ci riproverà alla prossima seduta. La discussione è calendarizzata in aula il prossimo 28 luglio. Ma il contingentamento dei tempi in commissione può essere imposto solo 48 ore prima del passaggio in aula. Insomma, la destra incassa lo smacco e si dispone a continuare a litigare con l’opposizione. Con imbarazzo, peraltro.

Salario minimo by Rizzetto

Perché spulciando gli archivi si capisce la ragione per cui Rizzetto ha ricevuto l’ordine di azzerare in fretta la proposta delle minoranze. Una, lo dicevamo, è la consapevolezza che il tema fa breccia anche nel proprio elettorato. Ma ce n’è un’altra.

Le opposizioni ieri hanno tirato fuori dai cassetti una precedente proposta di legge. Si intitola «Istituzione del salario minimo orario nazionale», è stata presentata alla camera il 28 gennaio 2019 e nella spiega illustra argomentazioni di buonsenso: «L’istituzione di un salario minimo, su base oraria, rappresenterebbe un efficace strumento per garantire una maggiore equità e tutelare la posizione di debolezza del lavoratore nell’ambito del rapporto di lavoro».

Più avanti: «La retribuzione minima fissata per legge è attualmente applicata in molti paesi europei, mentre, in Italia, vige solo per alcune categorie di lavoratori in virtù dei contratti collettivi negoziati a livello nazionale. Ciò lascia scoperto almeno il 30-40 per cento del mercato del lavoro italiano (...) determinando estesi fenomeni di sfruttamento».

Argomenti che, se erano validi prima della pandemia, figuriamoci adesso. Chi è il firmatario? Sorpresa: l’allora deputato Walter Rizzetto, che nella seduta notturna ha persino provato a rivendicarla, sostenendo però oggi le ragioni contrarie.

All’epoca argomentava: «Dove la contrattazione collettiva è più debole, un salario minimo è indispensabile, mentre, laddove la contrattazione è ancora forte, un salario minimo può essere un valido complemento. In Belgio, Francia, Olanda e Spagna coesistono la copertura dei contratti collettivi e il salario minimo nazionale». Come fa oggi un deputato Pd, o M5s, o rossoverde. Non è finita, anche dagli armadi della Lega esce qualcosa: solo un anno fa Matteo Salvini era un sostenitore del salario minimo.

Era il 12 luglio del 2022, lo spiegò in un presidio di leghisti sotto Montecitorio: «Se il salario minimo riguarda i lavoratori non tutelati, non coperti dai contratti collettivi nazionali di lavoro, è assolutamente sacrosanto».

© Riproduzione riservata