Dopo Patrick Zaki, un nuovo caso diplomatico e giudiziario sull’asse Italia-Nordafrica sta per atterrare in parlamento. Questa volta non si tratta di un cittadino egiziano, ma di una studentessa italo-marocchina. Si chiama Ikram Nazih, è nata nel 1998 a Vimercate da genitori marocchini e ha trascorso la maggior parte della sua vita in Brianza diventando cittadina italiana. Oggi vive a Marsiglia, dove frequenta l’università. O meglio viveva. Perché il 20 giugno, dopo essere partita per il Marocco per visitare i parenti, appena atterrata all’aeroporto di Casablanca è stata interrogata e posta in stato di fermo.

Su di lei pendeva infatti una denuncia per blasfemia, presentata alle autorità di Rabat da un’associazione religiosa marocchina che avrebbe segnalato un post condiviso dalla studentessa nel 2019: si trattava di un post satirico, allora molto popolare su Facebook, che trasformava la sura 108 del Corano, la sura dell’Abbondanza, in sura del whisky. La studentessa aveva poi cancellato il post ma il 28 giugno è stata condannata in primo grado a 3 anni di carcere e a una multa 50.000 dirham marocchini (circa 4.800 euro). Ora Ikram è nel carcere di Marrakech in attesa del processo d’appello che dovrebbe tenersi a fine mese.

In parlamento

In Italia il caso è stato sollevato dalla Lega. Il primo luglio, il deputato leghista Massimiliano Capitanio ha depositato un’interrogazione parlamentare sul caso.

«Al momento sono in contatto con l’ambasciatore italiano in Marocco», dice Capitanio. «La ragazza è assistita da un avvocato marocchino ma le nostre autorità consolari hanno potuto visitarla in carcere e anche il padre, ancora residente in Italia, è arrivato in Marocco».

Tardiva e più defilata la presa di posizione del Partito democratico. «La libertà di parola, anche quella di fare satira, va sempre difesa», dice Emanuele Fiano, deputato e responsabile esteri del Pd. «La condanna di questa ragazza non è ammissibile, anche noi porteremo il caso in Parlamento».

Nonostante la doppia cittadinanza di Ikram, l’Italia ha alcuni limiti. La Convenzione dell’Aja del 1930, infatti, prevede che nei casi di doppia cittadinanza non sia possibile per i due Stati coinvolti attivare la protezione diplomatica l’uno contro l’altro.

Il caso di Ikram stride con l’immagine che il Marocco presenta di sé nello scenario internazionale, ossia quella di un paese che promuove l’islam moderato e ne fa un’arma di soft power in Europa e in Africa. Nel 2015, per esempio, il re Mohammed VI ha inaugurato l’Istituto per la formazione degli imam, nato per istruire un clero moderato e contrastare le letture estremiste dell’islam. Un progetto che negli anni è diventato un importante strumento di diplomazia per la monarchia locale.

«C’è una sostanziale differenza tra l’immagine che il Marocco promuove all’estero e quello che accade all’interno del paese. Lo stato si basa su tre pilastri: islam, nazione e monarchia. Toccare uno di questi tre elementi è un grande fattore di rischio», spiega Sara Borrillo, esperta di Marocco e docente di diritto islamico all’Università Roma 3. «Dall’inizio degli anni ’90 il paese si definisce in transizione democratica ma le riforme fatte, anche dopo le proteste del 2011, dimostrano la loro incompiutezza. Negli ultimi anni si è registrata una nuova ondata di repressione contro i giornalisti che hanno denunciato la corruzione del governo e raccontato le proteste del Rif del 2016 e la conseguente incarcerazione degli attivisti».

La partita politica

L’arresto e la condanna di una ragazza, cittadina anche di un paese europeo, resta un gesto fuori scala anche rispetto alla repressione governativa ed è lecito chiedersi se il Marocco non stia giocando una nuova partita diplomatica con l’Europa come accaduto a maggio. Allora Rabat aprì le frontiere provocando l’arrivo di 8.000 migranti in due giorni nell’enclave spagnola di Ceuta dopo che la Spagna aveva accolto, in un ospedale di Logroño, Brahim Gali, il leader del Fronte Polisario, il movimento di liberazione del Sahara occidentale, nemico storico del Marocco.

«Dopo la dichiarazione di Donald Trump del dicembre 2020 che riconosceva la sovranità del Marocco sul Sahara occidentale in cambio della normalizzazione delle relazioni diplomatiche con Israele, le autorità di Rabat si aspettavano lo stesso riconoscimento da parte dell’Europa ma questo non è avvenuto», dice Francesco Correale, esperto storico del Maghreb e del Sahara al Centre national de la recherche scientifique di Tours. «Ascriverei però il caso di Ikram più alla repressione interna che allo scenario internazionale. Di certo quella dichiarazione di Trump ha lasciato ancora più mano libera al governo in patria fronte domestico».

Intanto, Amnesty International segue il dossier dalla sua sede regionale di Tunisi. E anche nella comunità islamica italiana c’è chi si sta attivando per la liberazione della studentessa. «Abbiamo consegnato al console marocchino in Italia un appello al regno del Marocco per chiedere la grazia reale in occasione della Festa del Sacrificio del 20 luglio», dice Davide Picardo del Caim (Coordinamento associazioni islamiche di Milano). «Come avviene ogni anno, durante le festività musulmane, diversi detenuti vengono rilasciati. Ci auguriamo che Ikram possa essere una di loro».

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