Puntuale è arrivata la Russia a dividere, di nuovo, il centrodestra. Non per la guerra in Ucraina, ma per le elezioni che hanno celebrato il trionfo di Vladimir Putin. E che per Matteo Salvini sono state un bagno di democrazia. Una posizione che mostra in maniera ancora più evidente le profonde lacerazioni all’interno della maggioranza: da una parte la Lega, sempre più isolata, dell’altra Forza Italia, saldamente ancorata alla linea atlantista del Ppe.

La stessa del presidente della Repubblica Sergio Mattarella che, come sottolineato in una nota del Quirinale, non ha invitato alcuna lettera di congratulazioni al presidente rieletto. La stessa di Giorgia Meloni che ha affidato il suo pensiero a un’intervista ad Agorà che verrà trasmessa stamattina: «Sulla Russia la posizione del governo è molto chiara, il centrodestra è una maggioranza molto coesa. Quello che noi abbiamo fatto in questo anno e mezzo con la velocità con cui lo abbiamo fatto, e la chiarezza che abbiamo dimostrato in politica estera, tutto questo racconta di una maggioranza coesa».

Da quanto trapela in via informale da Fratelli d’Italia, però, la premier è stata «fortemente infastidita» dalle dichiarazioni di Salvini. C’è chi la descrive furiosa.

La versione di Salvini

Il vicepremier Salvini, dal canto suo, ha semplicemente rispolverato il suo antico amore per il Cremlino: «In Russia hanno votato, ne prendiamo atto. Quando un popolo vota ha sempre ragione». E, per rimarcare il concetto, ha aggiunto: «Le elezioni fanno sempre bene, sia quando uno le vince sia quando uno le perde. Quando le perdo cerco di capire dove ho sbagliato e come fare meglio la prossima volta».

Parole che sarebbero impeccabili se fossero riferite a un compiuto sistema democratico. La Russia è però il paese in cui, appena poche settimane fa, è morto, in un carcere siberiano, il principale dissidente del regime, Aleksej Navalny. E dove non c’è stato spazio per veri candidati alternativi a Putin.

Così è toccato all’altro vicepremier Antonio Tajani, ministro degli Esteri, rimettere a posto i paletti per evitare un caso internazionale: «Abbiamo visto le immagini dei soldati russi entrare dentro i seggi per vedere come votava la gente. Non mi sembra che sia stata un’elezione che ha rispettato i criteri che rispettiamo noi». Sembra un’ovvietà, non di questi tempi.

Tajani ha poi ricordato: «Navalny è stato escluso dalle elezioni, di fatto, con un omicidio, non c’erano candidati avversari a Putin». E ancora: «La politica estera la fa il ministro degli Esteri». Una distanza siderale dal leader leghista. Che rende ancora più tesa la sfida per chi sarà, alle europee di giugno, il secondo partito della coalizione di centrodestra.

Salvini è sempre più solo contro tutti. Per la Lega i prossimi mesi saranno decisivi, ancora di più per l’attuale segretario federale. E il posizionamento geopolitico ha un valore rilevante. Se i popolari europei sono saldi nell’ostilità al Cremlino, l’estrema destra – e quindi la compagnia di giro salviniana – è decisamente più timida nella condanna a Mosca. Anche per questo il leader leghista continua ad alzare il tiro.

Bis russo

Del resto non è certo la prima volta che Salvini si mostra accondiscendente verso la Russia. Sulla morte di Navalny, per esempio, aveva sostenuto: «Saranno i giudici a chiarire le cause». Posizione condivisa nel suo partito, almeno quella fazione più legata al leader. Il capogruppo leghista al Senato, Massimiliano Romeo, partecipando alla fiaccolata pro Navalny a Roma, aveva espresso lo stesso concetto. Una legittimazione del regime di Putin, che a palazzo Chigi provoca più di qualche capogiro.

Anche perché non è una questione interna, come il terzo mandato o il ripristino delle elezioni per le province, tema riesumato da Salvini nelle ultime ore. «Ridare poteri e competenze alle province dopo la finta cancellazione voluta da Renzi per propaganda sarebbe utile all’Italia, non alla Lega. Spero che tutti gli altri, a destra e a sinistra, lo condividano», è la tesi. L’intenzione era nell’aria: alla Camera è stato depositato un disegno di legge, l’ennesimo, con la firma di un deputato di spicco, Alberto Stefani, segretario regionale in Veneto.

Ma sono appunto quisquilie buone per alimentare il dibattito italiano. Quando si parla del Cremlino, al contrario, c’è di mezzo la reputazione italiana in Europa e, ancora di più, nel mondo. Un tema su cui Meloni è attenta a non alimentare equivoci, peraltro proprio mentre gli avversari del campo largo si accapigliano sulla coalizione per le prossime elezioni regionali in Basilicata.

Le uscite di Salvini hanno ovviamente offerto alle opposizioni la possibilità di contrattaccare. «Nessuno stupore per le incredibili parole di Salvini sulle elezioni russe, d’altronde sulla piazza Rossa con la t-shirt con l’immagine di Putin soldato c’era il leader leghista», ha ricordato il deputato di Alleanza verdi-sinistra, Nicola Fratoianni. Mentre dal Pd non è mancata l’ironia. «Solidarietà al vicepresidente e ministro Antonio Tajani, non dev’essere facile avere un omologo vicepresidente Salvini che non condanna i crimini di Putin e vede in queste elezioni russe una grande affermazione del popolo», ha commentato il deputato dem, Giuseppe Provenzano.

Da Mosca a Venezia

Dalla Russia al Veneto, il passo non è breve, ma la musica non cambia. Per le regionali del 2025 si profila il redde rationem tra Lega e FdI.

«Non escludo che si possa procedere con la formula già utilizzata con Zaia in altre regionali», ha messo agli atti il segretario regionale Stefani, prospettando «una lista Lega, una lista Zaia, qualora il presidente fosse d’accordo, e una o più liste civiche di amministratori locali». Adombrando il sospetto di una corsa indipendente dalla coalizione di centrodestra.

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