Se questa non è una rivoluzione, per il Pd la giornata di domenica è più che una rivoluzione, forse un cataclisma. Elly Schlein ha vinto le primarie ed è la nuova segretaria. I primi risultati arrivano dal nord: a Torino e a Milano doppia Stefano Bonaccini, ma poi anche a Roma il dato è simile. Anche a Bologna. Alle nove della sera il sindaco di Firenze Dario Nardella, che da mesi lavora per Stefano Bonaccini,è cauto: «La partita è aperta, lo spoglio sarà lungo». Ma sa che anche la sua Toscana ha votato lei.

Il fatto è che Schlein viene sospinta avanti dal popolo democratico, iscritti ma soprattutto simpatizzanti. Che scelgono la prima donna alla guida del partito, dopo un’infilata di otto uomini: Walter Veltroni (2007), Dario Franceschini (2009), Pierluigi Bersani (fine 2009), Guglielmo Epifani (2013), Matteo Renzi (2013, poi rieletto per il secondo mandato), Maurizio Martina (2018), Nicola Zingaretti (2019) e da ultimo Enrico Letta (2021). Franceschini, Epifani, Martina e Letta sono stati eletti dall’assemblea nazionale. È invece una furibonda battaglia ai gazebo che porta Schlein alla vittoria.

Nella notte lei è con i suoi al teatro Spazio Diamante di Roma, in via Prenestina, dove dal pomeriggio schiere di entusiasti, soprattutto ragazzi e ragazze, si contagiano la fede nel miracolo. Il miracolo arriva: per la prima volta il popolo delle primarie impone un ribaltone al voto dei circoli, che aveva indicato Stefano Bonaccini con 52,87 per cento degli iscritti contro il 34,8. Alla candidata mancavano 27mila voti. Ma era chiaro che i voti mancanti potevano essere ritrovati ai gazebo, e facilmente. Il meccanismo da “dottor Stranamore” (copy il compianto Franco Marini) assegna l’elezione del leader al voto aperto, i tesserati hanno scelto un altro segretario ma devono rassegnarsi a un paradosso sempre presente, ma sempre considerato teorico e irrealistico. Invece stavolta è successo.

Ora però il pericolo di implosione, o di esodo, del Pd è il primo problema che la neosegretaria dovrà affrontare. Comprensibile la delusione dell’area riformista che ha sostenuto Bonaccini con la certezza di vincere e di offrire poi alla sinistra, o meglio a Schlein che la capitanava a questo giro, un accordo di collaborazione. A parti rovesciate, qualche riformista più esplicito, come il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, aveva avvertito che il Pd a guida Schlein non sarebbe più stato il suo partito.

In attesa di fuoriuscite, a braccia aperte, c’è il Terzo Polo, e quel Matteo Renzi che fino all’ultimo giorno è stato oggetto degli attacchi di Schlein. Si capisce subito l’aria che tira: «Si apre una stagione molto interessante per i riformisti», twitta Maria Elena Boschi.

Ora, necessariamente, la neosegretaria deve cambiare i toni. E farli cambiare ai suoi, se non vuole essere accusata di spingere all’uscita la minoranza: come fece Renzi con Pier Luigi Bersani, con cori “fuori, fuori” alla Leopolda del 2016 (furono accontentati nella primavera del 2017). Oggi l’ex Ditta è tornata nel Pd, e ha sostenuto Schlein.

La vincitrice deve rispondere alle promesse di cambiamento che ha fatto ai suoi elettori, ma insieme tentare di tenere dentro tutti. Una missione difficilissima.

Le file ai gazebo

Che la giornata le sorridesse si era visto dal mattino. Da subito sui social sono fiorite foto di cittadini e cittadine in fila. Alle 13 avevano votato quasi seicentomila persone, e l’agognata soglia psicologica del milione era improvvisamente apparsa a portata di mano. Alla fine sarà superata. L’entusiasmo dei sostenitori di lei è contagioso: «File ai seggi, voglia di partecipare e di contare. Da Nord a Sud. Che belle le primarie del Pd.

La sinistra è partecipazione, è vita e popolo. Ed è così che si torna a vincere! Grazie, grazie, grazie», twitta Marco Furfaro, portavoce nazionale della mozione. L’entusiasmo ha una ragione anche si parte: si capisce che l’affluenza è alta soprattutto dove lei ha vinto i congressi.

Comunque la notizia viene accolta con entusiasmo sia parte del comitato Schlein che da parte del comitato di Bonaccini. Evidentemente per due analisi opposte. I primi erano convinti che il voto “libero” avrebbe premiato lei. I secondi erano certi dell’opposto. Ma con il passare delle ore chi è ai seggi constata che in fila ai seggi sono molti “delusi” tanto invocati quanto temuti da una parte del partito: tant’è che fra i sostenitori del presidente dell’Emilia-Romagna comincia a circolare la preoccupazione per «un’opa ostile» in corso.

Il maltempo non ha fermato l’onda “anomala”. Neanche qualche scaramuccia sui dati della Campania, dove al voto si annunciava la predominanza del presidente della Regione Vincenzo De Luca, grande elettore di Bonaccini. Che nel pomeriggio fa aprire le porte della Casa dei popoli a Casalecchio di Reno, fuori Bologna, e distribuito tagliatelle al ragù per ammazzare la tensione.

La soglia del milione dunque è di nuovo superata. Consegna una vittoria piena alla vincitrice, ma un partito in calo di consensi, dalle politiche alle regionali ai gazebo. Alle primarie di Zingaretti erano stati 1.600.000 partecipanti; nel 2017 del secondo Renzi, 1.838.938; nel 2013, con il primo Renzi, 2.814.881; nel 2009 invece ai gazebo che incoronarono Bersani erano andati in 3.067.821. Impietoso il paragone con le prime primarie, quelle di Walter Veltroni, il primo segretario: nel 2007 votarono in tre milioni e mezzo.

Letta rassicura

Il segretario uscente Letta, che aveva parlato dell’«unità» come il principale successo del suo mandato, ora si ritrova punto e a capo, come due anni fa, quando, aveva detto giusto ieri al nostro giornale, gli era stato affidato «un partito sull’orlo dell’implosione».

Ora deve allontanare le ombre sul futuro del Pd. La scissione, dice all’uscita dal suo seggio a Roma Testaccio, è solo «un gioco giornalistico, un gioco politico da Transatlantico. Un gioco che non ha elementi di realtà. Sono convinto che verrà portata avanti anche da chi vincerà le primarie». Ma da chi le perde?

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