Si laureano prima, con voti in media migliori, ma poi lavorano meno e con uno stipendio più basso dei loro colleghi maschi. Giulia Cecchettin, uccisa pochi giorni prima della discussione della sua tesi in ingegneria biomedica, sarebbe stata una di loro.

Sono le laureate nelle materie scientifiche, meglio conosciute come Stem (science, technology, engineering, mathematics, a cui sempre più spesso si aggiunge la “a” di art). Il divario di genere nasce già dalla scelta della facoltà perché la componente femminile rappresenta il 40,9 per cento del totale delle iscritte a questi corsi, rispetto a quella maschile che raggiunge il 59,1 per cento. Con il gap che diventa ancora più evidente nei corsi di ingegneria industriale e dell’informazione, dove la presenza maschile supera i due terzi.

Solo il 14,5 per cento del totale delle universitarie si specializza nelle materie Stem. Il dato è del rapporto “Rethink Ste(a)m education – A sustainable future through scientific, tech and humanistic skills” dell’osservatorio Stem di Fondazione Deloitte, ed è inferiore alla media europea, che sfiora il 26 per cento.

Il numero è leggermente al di sotto rispetto a quanto riporta Istat, secondo cui «su cento donne laureate, solo sedici ottengono un titolo terziario nelle competenze tecnico-scientifiche Stem (pari a circa 38 mila donne), mentre su cento uomini laureati quelli che lo sono in tale ambito raggiungono i 35 (pari a circa 59 mila uomini)». Un altro dato esemplificativo del divario di genere è quello dei ricercatori: a livello mondiale solo il 28 per cento sono donne.

Il ruolo degli stereotipi

Secondo un’indagine di Save the children, la scelta di bambini e bambine è ancora influenzata dagli stereotipi di genere e dalle convenzioni sociali, oltre che dalla situazione economica di provenienza e dalla povertà educativa e materiale. Di conseguenza, le bambine tendono a dedicarsi ai settori della cura, mentre i bambini a quelli scientifici e tecnici, innescando quella che prende il nome di “segregazione orizzontale occupazionale di genere”.

Si tratta di un fenomeno sociale definito, nel libro Donne al lavoro, come «quel fenomeno che determina la concentrazione dell’occupazione femminile in pochi settori e rami di attività economica e in un numero limitato di mestieri e professioni, a fronte di una presenza esigua in altri ambiti lavorativi».

La segregazione orizzontale è evidente se si guarda l’accesso ai diversi lavori. Nei settori Ict (information and communication technologies) e Stem ci sono in prevalenza uomini, mentre nell’ambito dell’educazione, salute e benessere (Ehw) le donne rappresentano la maggioranza.

Nonostante il gender gap di accesso alle facoltà scientifiche, secondo il rapporto Focus gender gap 2023 di Almalaurea le donne raggiungono un voto medio di laurea più elevato (104,2 su 110, rispetto al 102,3 degli uomini) e concludono il ciclo di studi nei tempi stabiliti in misura maggiore (il 57,6 delle donne rispetto al 53,0 per cento degli uomini).

Le discipline Stem generalmente offrono più possibilità di carriera rispetto agli altri ambiti e un compenso più elevato, ma questo discorso non vale per le donne. Nonostante il divario lavorativo di genere si sia attenuato nel tempo, a cinque anni dal conseguimento del titolo, il tasso di occupazione è ancora diseguale: 94,1 per cento degli uomini contro il 90,9 per cento delle donne. La bilancia è a sfavore delle donne anche analizzando la retribuzione: in media 1.650 euro rispetto ai 1.845 euro per gli uomini.

La possibilità del Pnrr

Potenziare l’accesso femminile alle discipline Stem è uno dei modi per colmare i divari di genere, superare gli stereotipi e raggiungere la parità salariale. In questo senso il Pnrr potrebbe giocare un ruolo fondamentale nel percorso verso il raggiungimento della parità. La missione quattro, infatti, è dedicata al potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione, dagli asili nido alle università.

In particolare, l’investimento 3.1 è destinato alle discipline Stem e si pone l’obiettivo di «promuovere l’integrazione, all’interno dei curricula di tutti i cicli scolastici, di attività, metodologie e contenuti volti a sviluppare le competenze Stem».

Con un fondo di 600 milioni di euro dovrebbero essere realizzati percorsi didattici, formativi e di orientamento volti all’integrazione, in tutti i cicli scolastici, di metodologie dedicate allo sviluppo di competenze digitali e di innovazione. In questo senso, la tecnologia potrà essere la leva capace di favorire l’inclusione femminile nel mondo del lavoro, superando secoli di stereotipi e garantendo alle donne la possibilità di scelta.

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