I nomi di Recep Tayyip Erdoğan e di Kemal Kılıçdaroğlu, gli sfidanti alle elezioni del 14 maggio, ricorrono con costanza nelle conversazioni dei cittadini di Istanbul, mentre sulle televisioni dei bar scorrono incessantemente le immagini di conferenze stampa e di incontri a porte chiuse tra alleati e contendenti, ancora alle prese con accordi e tradimenti dell’ultimo minuto.

Quegli stessi volti si ritrovano anche sui giganteschi cartelloni che si alternano per le strade della città, quasi sgomitando per ottenere maggiore visibilità, e sui più piccoli poster elettorali che si intravedono nelle vie laterali del centro o dietro i banconi di frutta e verdura dei mercati rionali.  

Tra i ritratti dei candidati alle presidenziali però manca quello di un esponente della terza forza politica del paese, il Partito democratico dei popoli (Hdp) e anche i cartelloni con il suo simbolo saranno preso sostituiti da quelli con un nuovo logo.

Dopo settimane di discussioni interne e con il resto dell’opposizione, riunitasi nella cosiddetta Tavola dei sei sotto la guida del repubblicano Kılıçdaroğlu, il gruppo filo-curdo ha deciso di non designare un proprio candidato alle presidenziali e di presentarsi alle elezioni parlamentari sotto il simbolo della Sinistra verde.

Due scelte che cambiano le carte in tavola a poco più di un mese dalle urne e che evidenziano ancora una volta il ruolo decisivo che la componente curda può giocare nella definizione del futuro del paese, come già successo in occasione delle elezioni comunali del 2019.

Rischio chiusura

Quell’anno, il partito di opposizione repubblicano (Chp) è riuscito a vincere nelle principali città turche proprio grazie al sostegno esterno del partito filo curdo, che ha preferito non presentare un proprio candidato per aumentare le possibilità di sconfitta dell’alleanza nazionalista al governo da vent’anni.

Per evitare il ripetersi di un simile scenario, il governo ha bloccato temporaneamente i conti bancari del partito all’inizio della campagna elettorale e ne minaccia la chiusura per vie legali a poche settimane delle elezioni.

L’Hdp però non ha intenzione di farsi cogliere impreparato. In attesa della sentenza definitiva, che dovrebbe arrivare entro l’11 aprile, la formazione ha annunciato che si presenterà alle urne sotto l’ombrello della Sinistra Verde (Yeşil Sol), evitando così di restare fuori dai giochi in caso di chiusura.

«Quando abbiamo capito che il rischio era serio, abbiamo iniziato a elaborare una nuova strategia», spiega Ilknur Birol, co-presidente del distretto di Istanbul. «Siamo abituati a fare i conti con simili minacce e anche i nostri elettori sanno già cosa devono fare».

A sancire questa alleanza sarà anche l’adozione di un nuovo logo che metterà insieme l’albero verde di Yeşil Sol con quello verde e viola dei filocurdi, e che già circola sui social media dei leader dei due partiti.

«Ci stiamo preparando a questo momento dal 2021, da quando ha avuto inizio il processo», aggiunge Ayşe Erdem, esponente del Comitato esecutivo centrale della Sinistra Verde. «Decidere di fare fronte comune alla fine è stato semplice: abbiamo lo stesso programma e siamo alleati da sempre».

Quando parlano, le due donne si scambiano sguardi complici e segni di approvazione, mentre i loro interventi si alternano con fluidità, segno di un’intesa costruita nel tempo e che dice molto sul legame che i due partiti e i suoi rappresentati sono riusciti a stringere nel tempo, ben oltre interessi e calcoli politici di breve periodo.

Il rapporto con l’opposizione

La notizia che tutti attendevano però era quella sulla possibile alleanza con il fronte dell’opposizione. Dopo lunghe trattative, l’Hdp ha annunciato che non presenterà un proprio candidato per la carica di presidente, preferendo invece offrire un sostegno esterno e non dichiarato al leader del partito repubblicano, Kemal Kılıçdaroğlu. I curdi, quindi, hanno deciso di adottare una posizione strategica per facilitare l’uscita di scena del presidente Erdogan e dei suoi alleati, ma hanno più volte ribadito di non condividere il programma politico dell’opposizione.

Proprio per questo motivo dopo le elezioni Hdp e Sinistra Verde hanno intenzione di continuare a sedere in parlamento tra i banchi dell’opposizione con i loro propri rappresentanti.

D’altronde la Tavola dei sei, l’alleanza guidata da Kılıçdaroğlu, è formata da partiti che vanno dalla destra al centro-sinistra con visioni sociali, politiche ed economiche in alcuni casi molto distanti da quelle di Hdp e Sinistra verde.

Per questi ultimi è fondamentale superare il sistema capitalista e implementare un modello economico nuovo incentrato sul rispetto della natura e della dignità dei lavoratori, così da abbattere le diseguaglianze di classe e garantire una maggiore redistribuzione delle ricchezze. Solo così, spiegano Birol ed Erdem, sarà possibile preservare la Turchia dagli effetti devastanti del cambiamento climatico, come inondazioni e incendi, ed evitare che terremoti come quello che ha colpito il sud della Turchia abbia esiti così tanto tragici.

Nella visione di Hdp e Sinistra Verde, adottare un nuovo sistema economico vuol dire anche rendere più democratico e più partecipativo il sistema politico turco, con ricadute positive sul fronte dei diritti e delle libertà civili.

Ma a separare filocurdi ed ecologisti dal resto dell’opposizione non è solo una diversa visione dell’economia. Per l’Hdp è fondamentale affrontare la questione curda, ma trovare un compromesso con le altre forze politiche non sarà semplice.

Della Tavola dei sei fanno parte anche partiti ostili ai curdi, come il Buon partito di ispirazione nazionalista guidato Meral Aksener, che ha posto fin da subito il veto a ogni concessione nei confronti dell’Hdp. Nonostante le divisioni interne, Kılıçdaroğlu ha offerto ai curdi alcune garanzie in cambio del loro sostegno esterno e si è espresso pubblicamente contro l’arresto di centinaia di sindaci dell’Hdp portato avanti negli ultimi anni dal governo con il sostegno della magistratura.

«Kılıçdaroğlu ha affermato che il luogo in cui risolvere la questione curda è il Parlamento, ma non ha fornito maggiori dettagli», spiegano Birol ed Edrem. «Per noi si tratta di un cambio di passo importante perché fino ad oggi tutto è stato affrontato unicamente come un problema di sicurezza, ma le parole non bastano. Abbiamo bisogno di azioni concrete. Ci sono poi questioni su cui il Chp non ha mai preso posizione e che devono essere affrontate al di fuori del Parlamento, come la detenzione di Abdullah Ocalan».

Il leader del Partito dei lavoratori curdi, considerata dalla Turchia un’organizzazione terroristica, è detenuto da ventiquattro anni nell’isola-carcere di Imrali e i curdi ne chiedono da tempo la liberazione o quantomeno un alleggerimento del regime estremamente duro a cui è sottoposto. Ottenere aperture su questo fronte, però, sarà molto difficile anche in caso di vittoriale dell’opposizione.

Post Erdogan

Capire chi sarà il prossimo presidente della Turchia non è un’impresa facile. I sondaggi continuano ad essere contraddittori, mentre gli analisti cercano ancora di valutare quali effetti avrà il terremoto sul gradimento di Erdoğan.

Birol però non sembra avere dubbi. Nel rispondere a questa domanda sorride e si raddrizza sulla poltrona nera posizionata davanti alla bandiera bianca e viola dell’Hdp. «Vinceremo noi e con noi il popolo. Siamo davanti a delle elezioni storiche e molto critiche che daranno il via al secondo centenario della Repubblica e che ci permetteranno di avere un paese più democratico».

Il vero problema, però, sarà cambiare il sistema economico, sociale e di gestione del potere creato da Erdogan negli ultimi venti anni, impossibile da smantellare in poco tempo. «Mettiamola così», conclude Birol. «Se vinciamo avremo chiuso la porta dell’inferno, ma non ancora aperto quella del paradiso».

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