Il war game che l’Esercito popolare di liberazione ha avviato questo sabato nelle acque e nei cieli intorno a Taiwan è un avvertimento politico. Per la terza volta in un anno Pechino sta provando un blocco navale e aereo dell’Isola, questa volta subito dopo il doppio scalo negli Stati Uniti di William Lai Ching-te, il candidato favorito a succedere alla presidente Tsai Ing-wen con le elezioni del 13 gennaio prossimo. Il governo cinese non ha usato mezze parole: «Lai lavora a pieno ritmo per l’indipendenza taiwanese ed è un piantagrane. Spingerà solo Taiwan nella pericolosa situazione di terribili battaglie». Quando, il 5 agosto scorso, due navi della guardia costiera filippina si sono avvicinate all’atollo al quale è arenata la “Sierra Madre”, sono state respinte dal potente getto dei cannoni ad acqua cinesi. Due giorni dopo, è arrivata la convocazione dell’ambasciatore Huang Xilian, per «chiedere con decisione di fermare le interferenze nelle legittime attività delle Filippine», cioè nel trasporto di viveri e carburante sul relitto, piazzato dal 1999 sul Second Thomas Shoal per rafforzare le rivendicazioni territoriali di Manila sull’isolotto occupato. Pechino invece sostiene di aver agito con “professionalità” per bloccare il tentativo “illegale” di consegnare materiale da costruzione sull’arcipelago conteso delle Spratly, al centro del mar Cinese meridionale (Mcm).

Sbilenca e tutta arrugginita, questa nave da sbarco varata dagli Usa nel 1944, passata all’esercito di Saigon nel 1970 e, dopo la fine della guerra del Vietnam, alla marina filippina, ha così riacceso lo scontro tra Pechino e Manila sulle Spratly, rivendicate anche dal Vietnam, dalla Malesia, dal Brunei e dall’Indonesia. Pechino ha intimato a Manila «di rimorchiare la nave a terra e riportare al suo stato originale» il Second Thomas Shoal. Le Filippine hanno risposto picche e i generali hanno denunciato un «atto di guerra», chiedendo al governo di ristrutturare la “Sierra Madre” e intensificare le missioni per mantenere i soldati a bordo. Il mar Cinese meridionale è, oltre a Taiwan, l’altro principale hotspot dove da un momento all’altro rischia di esplodere la tensione tra Pechino e i suoi vicini e tra la Cina e gli Stati Uniti, una “zona a rischio d’incendio”, alimentato dalla lotta per la pesca, e da piccoli e grandi contenziosi territoriali come quello sul Second Thomas Shoal.

Mare strategico

Ma soprattutto dal desiderio di controllare questa porzione del Pacifico occidentale che collega l’Asia all’Africa e all’Europa, da cui transitano ogni anno merci per circa 3.500 miliardi di dollari, più del 20 per cento del commercio marittimo globale, il 64 per cento di quello cinese, il 42 per cento di quello giapponese e il 14 per cento di quello statunitense. Non solo, secondo le stime della Us Energy Information Agency, nei suoi fondali sono custodite riserve di gas pari a 190mila miliardi di metri cubi, e di greggio per 11.mila miliardi di barili.

Pechino sogna d’imporre sull’intera area una “pax sinica” favorita dai suoi commerci e investimenti, mentre fatica a essere finalizzato un “codice di condotta” – che dovrebbe regolamentare pesca, attività estrattive e quant’altro – negoziato da anni con l’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico, tra i cui membri però ci sono paesi, come le Filippine, che si fidano sempre meno della Cina. Intanto Pechino ha dichiarato che il 90 per cento del Mcm appartiene alla Repubblica popolare cinese, sulla base della Linea dei nove tratti risalente a una mappa pubblicata nel 1947, tesi bocciata nel 2016 da un arbitrato internazionale attivato su ricorso di Manila.

Incontrando il premier di Singapore, Lee Hsien Loong, lo scorso fine settimana il ministro degli esteri Wang Yi ha accusato l’amministrazione Biden di utilizzare il Mcm, Taiwan e l’embargo hi-tech per contenere l’ascesa della Cina. Secondo il capo della diplomazia di Pechino, la colpa del riaccendersi dei contenziosi con i pesi vicini è degli Stati Uniti, che «sono diventati il più grande fattore destabilizzante del mondo».

La leadership del partito comunista non ha digerito il passaggio da Rodrigo Duterte, che aveva provato a riequilibrare la politica estera di Manila, a Ferdinand Marcos junior, il figlio dell’ex dittatore che, diventato presidente il 30 giugno 2022, ha riportato l’ex colonia statunitense sotto l’ala protettrice di Washington.

Con Marcos si cambia

Così mentre Duterte aveva fatto cadere nel dimenticatoio l’esito (non vincolante) dell’arbitrato della Corte dell’Aja che aveva dichiarato “irricevibili” le pretese di Pechino fondate sulla Nine Dash Line, “Bongbong” Marcos ha scommesso sul potenziamento dell’alleanza con Washington, che vuole rendere «più reattiva alle sfide attuali e a quelle che emergeranno» e ha riattivato i pattugliamenti congiunti con gli Usa nel Mcm sospesi dal suo predecessore nel 2016. In linea con un’opinione pubblica sempre più anti-Cina, il senato di Manila ha appena approvato all’unanimità una risoluzione che ha condannato «fermamente le continue vessazioni nei confronti dei pescatori filippini e le persistenti incursioni nelle acque contese da parte della guardia costiera cinese e delle navi della milizia». Ha votato “sì” perfino la sorella maggiore del presidente, Imee Marcos, nota per le sue posizioni filo-Pechino e per essere a favore di un riesame delle relazioni di sicurezza con Washington.

Ma Marcos Jr. è convinto che un eventuale conflitto su Taiwan tra la Cina e gli Stati Uniti coinvolgerebbe le Filippine.

Second Thomas sorge 120 chilometri a ovest di Palawan, sede di una delle quattro basi militari a cui Manila ha recentemente concesso l’accesso alle forze armate statunitensi per l’addestramento congiunto, lo stoccaggio di attrezzature e la costruzione di strutture come piste e alloggi militari. Visitando Palawan nel novembre scorso, la vice presidente Usa, Kamala Harris, ha assicurato che, «di fronte alle intimidazioni e alla coercizione nel Mar cinese meridionale», Washington rimarrà fedele all’alleato con il quale, dal 1951, è legato da un trattato di difesa reciproca, e che «un attacco armato alle forze armate, alle navi o agli aerei delle Filippine nel Mar cinese meridionale invocherebbe gli impegni di mutua difesa degli Stati Uniti».

Dopo che quella che è stata una delle prime alleanze degli Usa in Asia aveva subìto più di uno scossone durante le presidenze Duterte (mentre alla Casa Bianca c’era Donald Trump), nonostante l’opposizione del partito di Duterte e della stessa sorella del presidente Marcos, ad aprile le forze armate filippine e statunitensi hanno condotto la loro più massiccia operazione congiunta di sempre (17.600 militari impiegati) nelle acque del mar Cinese meridionale e dello Stretto di Taiwan.

Come i kamikaze

Mentre anche intorno all’Isola che Pechino considera una sua “provincia ribelle” la tensione stenta a scemare dopo che, il 28 luglio scorso, la Casa bianca ha annunciato un pacchetto di aiuti militari da 345 milioni di dollari per Taiwan, sbloccato con le stesse procedure semplificate utilizzate per fornire armi alla resistenza ucraina.

In occasione del 96° anniversario della fondazione, l’Esercito popolare di liberazione (Epl) ha mandato in onda un nuovo documentario sui preparativi per “riunificare” Taiwan alla madrepatria, ovvero di un’operazione militare contro l’isola, che a gennaio 2024 andrà alle urne per eleggere il successore della presidente Tsai Ing-wen e il nuovo parlamento.

Chasing Dreams è una serie in otto puntate, trasmessa dalla tv di stato Cctv, che mostra esercitazioni militari e testimonianze di soldati, di cui molti esprimono il desiderio di morire come “martiri” nell’eventualità di un conflitto su Taiwan. «Se scoppiasse la guerra e le condizioni fossero troppo difficili per rimuovere in sicurezza le mine navali in un vero combattimento, useremmo i nostri stessi corpi per liberare un percorso sicuro per le nostre forze di sbarco», afferma Zuo Feng, un sommozzatore della marina dell’Epl, unità dragamine.

Li Peng, un pilota dello squadrone Wang Hai dell’aeronautica, promette che, come quelli dei kamikaze giapponesi della Seconda guerra mondiale, il suo «aereo da combattimento sarebbe l’ultimo missile a lanciarsi contro il nemico se, in una vera battaglia, avessi esaurito tutte le mie munizioni». Quest’ultima produzione dell’Epl non è che un piccolo tassello del gigantesco apparato di propaganda che l’apposito dipartimento del partito comunista, utilizzando tv, internet, i videogame, le scuole, le università, eccetera, sta mettendo in piedi per stimolare il patriottismo dei giovani cinesi e per preparare la popolazione alla possibilità di un conflitto.

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