Per descrivere quello che è accaduto in Afghanistan negli ultimi 20 anni va molto di moda una citazione da un racconto di Ernst Hemingway. «Come sei finito in bancarotta?», chiede un personaggio a un altro. «Prima gradualmente, poi improvvisamente».

La riconquista dell’Afghanistan da parte dei Talebani è andata nello stesso modo. Per anni è andata avanti a piccoli passi, un villaggio per volta.

In una situazione di stallo apparente, i Talebani si rafforzavano nelle aree rurali e attendevano con pazienza il ritiro degli americani, mentre il governo afgano continuava a perdere credibilità e legittimità di fronte agli occhi della popolazione.

Poi, all’inizio di agosto, l’offensiva ha improvvisamente accelerato e nel giro di una settimana l’intero paese, capitale compresa, è finito nelle loro mani, lasciando stupefatti gli osservatori di tutto il mondo.

Abbiamo cercato di mettere in fila le dati e i fatti essenziali per iniziare a comprendere questa vicenda complicata di cui di certo si parlerà ancora a lungo.

2009-2011

Sono passati otto anni da quando nel 2001 gli americani hanno invaso il paese aiutando una coalizione di signori della guerra locali, l’Alleanza del nord, a rovesciare il regime dei Talebani.

Ma dopo i primi anni trascorsi a riorganizzarsi, i miliziani estremisti sono tornati all’attacco e nel 2008 controllano ormai metà delle aree rurali del paese.

Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama decide di aumentare il contingente militare nel paese. È consigliato da un gruppo di generali che in Iraq hanno adottato tattiche simili, riuscendo a sconfiggere temporaneamente la milizia estremista antenata dell’Isis.

L’obiettivo di quello che viene chiamato il surge, “l’ondata”, è colpire i Talebani rapidamente e con durezza, ridurre la loro capacità militare e permettere all’esercito afghano di occuparsi di loro senza bisogno di aiuto.

Al picco del surge, in Afghanistan ci sono 100mila soldati americani, altri 40mila alleati e, almeno sulla carta, 300mila soldati afghani. Nel 2011, l’Afghanistan costa agli Stati Uniti 100miliardi di dollari l’anno, il 50 per cento in più della spesa per l’educazione nel paese.

2012-2014

Il surge sembra funzionare. L’esercito americano e il governo afgano sostengono che il numero di attacchi compiuti dai Talebani diminuisce. Il governo rioccupa larghe porzioni di territorio perduto. L’esercito afgano e il governo sembrano avere una nuova fiducia in sé stessi.

Nel maggio 2011, un commando americano uccide Osama Bin Laden, il leader terrorista che dall’Afghanistan ha pianificato gli attacchi contro le Torri gemelle di New York.

Tutto sembra andare per il meglio nel paese. A partire dal 2012, il numero di soldati americani nel paese inizia a diminuire e la responsabilità di mantenere la sicurezza nel paese viene trasferita agli afghani.

Nel 2014, la missione militare americana in Afghanistan termina ufficialmente. Nel paese rimangono solo 10mila soldati con compiti di addestramento. In teoria, questo gruppo non dovrà più combattere direttamente i talebani e sarà completamente ritirato dal paese entro il 2016.

2015

Alla fine della missione militare per gli osservatori più attenti è ormai chiaro che le cose non sono andate così bene durante il surge. Secondo ong e osservatori internazionali, nei mesi di massimo schieramento di forze americane nel paese la violenza non è diminuita, ma aumentata, come ammetterà la stessa Nato.

Quattordici anni di guerra e la spesa di centinaia di miliardi di dollari non sono riusciti a ridurre significativamente le capacità militari dei Talebani. I miliziani sanno che con il ritiro degli americani avranno presto la loro occasione e il loro morale è alto.

Per le forze armate e di polizia afghana la situazione è opposta. Un sondaggio del 2015 mostra che solo l’11 per cento degli agenti si è arruolato per combattere i Talebani. Molti altri lo hanno fatto soltanto per aver uno stipendio o una posizione sociale.

2015 aprile-ottobre

Non appena gli Stati Uniti riducono il loro impegno militare, i Talebani dimostrano di essere ancora forti e in grado di colpire obiettivi di grande importanza. Ad aprile, appena quattro mesi dopo la fine della missione militare americana, attaccano la città di Kunduz, una capitale provinciale di 270mila abitanti nel nord del paese.

La battaglia prosegue in modo inconcludente fino all’autunno, tra avanzate e ritirate, ma a settembre, un gruppo di 500 talebani riesce a sorpresa a occupare la città, cacciando la guarnigione di 3mila poliziotti e militari. Nella battaglia, aerei americani attaccano più volte per errore un ospedale di Medici senza frontiere.

L’esercito afghano, con l’aiuto delle forze speciali americane, riesce a riprendere rapidamente la città, ma lo shock causato dalla battaglia di Kunduz viene sentito anche a Washington. È la prima volta dall’invasione del 2001 che i Talebani riescono ad occupare una capitale provinciale.

2016

I Talebani continuano a estendere il loro controllo sulle aree rurali del paese. Alla fine del’anno controllano il 10 per cento del territorio nazionale, secondo le stime dell’esercito americano, il doppio, secondo valutazioni indipendenti.

Nel corso del 2016, i Talebani cercano anche di replicare il successo di Kunduz, attaccando diverse capitali provinciali. Questa volta, nessuna città cade, ma è sempre più chiaro che sono gli insorti ad essere in ascesa, mentre il governo non riesce a contenerli.

2017

Con l’esercito degli Stati Uniti e le altre forze Nato sempre meno impegnate in azioni dirette, la responsabilità dei combattimenti ricade sulle spalle dell’esercito e della polizia afghane.

Nel 2017, gli afghani subiscono per il terzo anno di fila 8mila morti e decine di migliaia di feriti. Le statistiche sono talmente inquietanti che il governo afghano smette di diffondere dati sulle perdite militari.

Stime indipendenti riportano la morte di una media di quaranta poliziotti e soldati ogni giorno. Aggiungendo le perdite dovute alle diserzioni, l’esercito Afgano perde circa il 3 per cento della sua forza ogni mese, il che significa che ogni anno oltre un terzo delle sue truppe devono essere rimpiazzate con nuove reclute.

La situazione è così grave che il governo americano, ora guidato da Donald Trump, decide di interrompere temporaneamente il ritiro delle truppe e di aumentare il contingente nel paese, che passa da 11mila a 14mila soldati.

È una mossa che segue la politica adottata negli ultimi mesi dell’amministrazione Obama, che prima di lasciare la presidenza aveva cambiato le regole di ingaggio delle truppe, dando loro maggior libertà di appoggiare l’esercito afgano.

Allo stesso tempo aumenta anche il numero di attacchi aerei contro i leader dei Talebani e inizia un’operazione per colpire le fonti di reddito dell’organizzazione, come i laboratori dove si raffina l’oppio in eroina. Secondo i generali americani, il 2017 è l’anno in cui viene ucciso il più alto numero di leader Talebani dall’inizio della guerra.

I miliziani rispondono in maniera brutale e mettono in atto numero record di attacchi terroristici di rappresaglia, tra cui tre distinte operazioni nella capitale Kabul, di cui una contro l’edificio che ospita la Corte suprema del paese.

2018

Un report delle Nazioni unite pubblicato all’inizio dell’anno accusa i Talebani di aver aumentato gli attacchi contro i civili tramite autobombe e le uccisioni mirate come risposta alla strategia di Trump di colpire i leader dell’organizzazione.

I Talebani intanto continuano a occupare distretti rurali e campagne e tentano di nuovo operazioni contro le grandi città. In maggio occupano la capitale della provincia di Farah, in agosto occupano Ghazni e riescono a tenerla per una settimana.

La stanchezza per la guerra è sempre più diffusa nel paese. Il movimento per la pace afgano cresce e tiene diverse manifestazione a cavallo del 2017 e il 2018, in cui chiede una soluzione diplomatica del conflitto.

A febbraio, il presidente afgano Ashraf Ghani torna a proporre a Talebani di discutere la pace. Inizialmente gli Stati Uniti rifiutano di partecipare alle trattative a causa dei continui attacchi contro i civili da parte degli insorti. Ma a partire dall’estate, anche gli Stati Uniti si impegnano nel processo di pace.

Contemporaneamente, il numero di attacchi aerei dell’aviazione americana inizia ad aumentare di volume: una strategia che mira a spingere i Talebani a trattare e a offrire migliori condizioni. Le Nazioni unite esprimono preoccupazione per l’aumento delle vittime civili nei bombardamenti.

2019

Tra distretti controllati e quelli dove invece la presenza delle truppe governative viene contestata, i Talebani sono ormai attivamente presenti in circa il 50 per cento del paese. Molte capitali provinciali sono isole di controllo governativo circondate da una una campagna quasi completamente nelle mani degli insorti.

Le trattative diplomatiche proseguono a Doha, in Qatar, e la campagna di bombardamenti avanza di pari passo. Secondo l’aviazione americana, il 2019 è l’anno in cui sono state sganciate più bombe sul paese dall’inizio dei combattimenti.

Secondo i dati ufficiali, 7.423 munizioni di vario tipo sono state utilizzate nel corso dell’anno, un terzo in più del circa 5mila impiegate al picco del surge, quando l’esercito degli Stati Uniti aveva 100mila soldati schierati nel paese.

2020

Il 29 febbraio, gli Stati Uniti raggiungono un accordo di pace con i Talebani. I primi si impegnano a liberare 5mila prigionieri e a ritirare le truppe dal paese entro 14 mesi, i secondi promettono di impedire che l’Afghanistan venga usato come base dai terroristi che intendono colpire gli Stati Uniti.

Il governo afgano viene tenuto fuori dalle trattative e la reazione iniziale del presidente Ghani è dura. L’accordo, accusa, è stato firmato «a porte chiuse» e la decisione di liberare prigionieri afgani «non compete agli Stati Uniti, ma al governo afgano».

Nel frattempo, però, le difficoltà delle forze militari afgani hanno quasi azzerato i margini di manovra del governo. Esercito e polizia afgana non sono più in grado di compiere operazioni offensive e tutto quello che possono fare è cercare di difendere i grandi centri urbani e altri nodi strategici.

Subito dopo gli accordi, i Talebani aumentano rapidamente la frequenza dei loro attacchi. Secondo alcune stime, tra marzo e aprile, il numero di azioni compiute contro l’esercito afgano aumenta del 70 per cento rispetto ai mesi precedenti.

Ghani è costretto ad accettare l’accordo di pace. A settembre, 5mila Talebani, tra cui 400 accusati e condannati per crimini come l’omicidio, vengono rilasciati dal governo afgano. I Talebani dicono di essere pronti a trattare con il governo afgano.

2021

Si prepara il ritiro definitivo delle truppe della Nato. Il governo afghano e i vertici americani sono convinti che il supporto degli Stati Uniti proseguirà anche dopo la data definitiva del ritiro, fissata per la fine di agosto.

Quasi nessuno pensa che il governo afgano sia in grado di sopravvivere da solo, ma molti pensano che una piccola presenza militare con funzioni di addestramento e coordinamento e l’appoggio aereo saranno sufficienti a tenerlo in piedi, almeno nel medio periodo.

2021, maggio

I Talebani iniziano la loro offensiva primaverile. Nel giro di un mese conquistano quasi novanta nuovi distretti, occupano le capitali provinciali di Kunduz e Puli Khumri e assediano Mazar-i-Sharif, una città a nord del paese considerata una roccaforte anti talebana.

2021, giugno

L’attacco dei Talebani è violento e improvviso e la reazione dell’esercito afgano insufficiente. Soldati e ufficiali si arrendono senza combattere o si accordano con i talebani per evitare spargimenti di sangue. Soltanto le forze speciali afgane offrono una qualche resistenza, ma sono troppo poco numerose per difendere tutto il paese.

Di fronte al fallimento delle forze armate, il 19 giugno Ghani sostituisce il capo dell’esercito, il ministro della Difesa e quello dell’Interno. Negli stessi giorni, il generale Scott Miller, comandante delle forze americane in Afghanistan, dice ai giornalisti che la situazione nel paese è grave. «Se il paese rimarrà su questa traiettoria, la guerra civile è un evento assolutamente probabile». Le stime più pessimistiche dicono che il governo afgano potrebbe cadere nel giro di sei mesi se non riceverà adeguato supporto.

2021, luglio

I Talebani avanzano nelle aree rurali del paese senza quasi incontrare resistenza. In poche settimane occupano 64 distretti ed entrano a Kandahar e Herat, la seconda e terza città del paese. Il 21 luglio, il generale americano Mark Milley annuncia che almeno metà del paese è nelle loro mani.

I Talebani iniziano ad occupare uno dopo l’altro tutti i varchi di frontiera del paese. Alla fine del mese, guardie talebane fronteggiano i militari iraniani e turkmeni nei posti di confine nell’ovest e nel nord ovest del paese.

2021, agosto

La situazione precipita in un tempo brevissimo e le stime che parlavano di sei mesi prima della caduta del governo afgano si rivelano tragicamente ottimistiche.

Lunedì 9

La settimana inizia con i Talebani che occupano un pugno di capitali provinciali. Ma 29 sono ancora nelle mani del governo. L'idea che si possibile difendere le grandi città e raggiungere una pace negoziata con i Talebani non sembra così assurda.

Martedì 10

A Doha, gli Stati Uniti cercano di bloccare l’avanzata talebana per via diplomatica e il loro inviato minaccia: ogni conquista territoriale ottenuta con la forza sarà condannata a livello internazionale e farà tornare i Talebani dei paria internazionali.

Le minacce non hanno effetto sui combattenti che si trovano in Afghanistan. Una nuova capitale provinciale, Farah, viene occupata senza quasi combattere. I parchi di Kabul si riempiono di rifugiati arrivati dal resto del paese.

Mercoledì 11

Cade un’altra capitale provinciale, Fayzabad, mentre milizie talebani si avvicinano alla capitale Kabul.

Giovedì 12

È il giorno peggiore dall’inizio dell'offensiva. In 24 ore cadono cinque capitali provinciali, tra cui Herat, dove si combatte da giorni, Gazhni e Kandahar. Le speranze di una pace negoziata svaniscono. Gli Stati Uniti e gli altri paesi Nato iniziano a sgomberare le loro ambasciate.

Quasi ovunque i Talebani avanzano senza incontrare resistenza. In alcuni casi, le forze del governo decidono di ritirarsi in seguito alla richiesta dei rappresentati delle comunità locali, che chiedono di risparmiare ulteriori combattimenti alle loro città.

Venerdì 13

Cadono altre cinque capitali provinciali. Nel frattempo, aerei americani decollati dalle basi in Qatar e dalle portaerei nell’Oceano Indiano attaccano i Talebani ovunque riescono a individuarli, ma con l’esercito afgano che ha perso ogni desiderio di combattere, i bombardamenti non producono grandi effetti.

Sabato 14

In un solo giorno sette capitali provinciali si arrendono ai Talebani. Tra le altre, anche Mazar-i-Sharif, un bastione sulla cui resistenza il governo afgano contava molto. In un messaggio televisivo, Ghani assicura che il governo continuerà a combattere. Il presidente americano Joe Biden, invece, promette che il ritiro proseguirà come previsto.Intanto i Talebani sono arrivati a 11 chilometri da Kabul.

Domenica 15

Cade Jalalabad, ultima grande città ancora sotto controllo del governo a parte Kabul. Nel corso della giornata, i Talebani occupano gli ultimi varchi di confine ancora nelle mani del governo, oltre alla base aerea di Baghram. La guarnigione, che tra le altre cose custodisce 5mila prigionieri, si arrende.

Nel pomeriggio, Ghani abbandona il palazzo presidenziale di Kabul e fugge prima in Tajikistan e poi negli Emirati Arabi Uniti. I Talebani, che avevano promesso di non entrare in città in attesa di organizzare un pacifico trasferimento di poteri, occupano la città per «mantenere l'ordine». La guerra è finita, almeno per il momento. E i Talebani hanno vinto.

 

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