Xi Jinping e Joe Biden s’incontreranno domani per la prima volta di persona da quando il leader democratico, il 20 gennaio 2021, è diventato il quarantaseiesimo presidente degli Stati Uniti.

Da allora sono passati quasi due anni durante i quali le discussioni in videoconferenza non hanno evitato che le relazioni tra Pechino e Washington si deteriorassero sempre di più: al punto che, sui cambiamenti climatici e tra i rispettivi eserciti, le comunicazioni sono state ufficialmente interrotte.

Quello che avrà luogo a margine del vertice del G20 di Bali sarà un faccia a faccia che - mettono le mani avanti a Washington - non produrrà risultati concreti. Tuttavia le acute divergenze tra Cina e Stati Uniti e le tensioni sullo scacchiere Asia-Pacifico, mentre tra Russia e Ucraina infuria la guerra, lo hanno reso urgente, per provare a gettare acqua sul fuoco.

Linee rosse

Secondo quanto anticipato da Jake Sullivan, i due discuteranno di tutte le questioni più scottanti: Taiwan, i rapporti economici Cina-Usa, il conflitto in Ucraina, la Corea del nord, i diritti umani. Il consigliere per la sicurezza nazionale di Biden ha chiarito che l’obiettivo è, anzitutto, «ridurre le incomprensioni, capendo bene le rispettive priorità e intenzioni», ovvero le “linee rosse” che Biden non permetterà a Xi di superare e viceversa. In secondo luogo si cercherà di far ripartire il dialogo dove possibile.

Biden arriva all’appuntamento con Xi dopo il voto di metà mandato, deciso a mostrarsi non meno “anti Cina” dei repubblicani. «Non ho intenzione di fare alcuna concessione fondamentale» a Pechino, ha dichiarato l’inquilino della Casa Bianca, che ieri in Cambogia ha illustrato la sua visione di un “Free and Open Indo-Pacific” al summit dell’Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico, interessate sì al sostegno Usa, ma anche al commercio con e agli investimenti della Cina.

Xi Jinping si presenta fresco di terzo mandato a guidare il partito e il paese e potrebbe essere tentato di nascondere con l’intransigenza sui dossier bilaterali le difficoltà interne, ovvero il rallentamento economico e l’insostenibilità della sua politica “contagi zero”, dalla quale ha appena intrapreso una faticosa via d’uscita.

Taiwan è la questione che maggiormente ha intossicato la relazione bilaterale più importante per il futuro del pianeta. Xi e Biden devono fare qualche mossa per frenare la corsa verso il precipizio.

Con le manovre militari dell’agosto scorso e attraverso i lavori del XX congresso, Pechino ha fatto capire che non è più disposta a tollerare quelle che considera “provocazioni”, come la visita a Taipei della terza carica degli Stati Uniti, Nancy Pelosi.

D’altra parte la nuova strategia di sicurezza nazionale Usa che ha indicato che la «Repubblica popolare cinese rappresenta per l’America la sfida geopolitica più significativa» punta soprattutto sulla competizione tecnologica, anche per smentire la percezione di Pechino che quello contro la Cina sarebbe una riedizione del containment anti-sovietico. Ma la leadership cinese pretende che l’amministrazione Biden s’impegni al rispetto del principio “Una sola Cina” e dell’ambiguità strategica, smettendo di sostenerli ufficialmente ma non con i fatti.

I missili di Kim

Funzionari statunitensi hanno accusato Pechino di favorire i programmi missilistici della Corea del nord, dopo che nel giugno scorso la Cina (e la Russia) hanno posto il veto contro sanzioni più dure da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per ostacolarli. Biden - ha anticipato Sullivan - dirà a Xi che Pechino, alleata di Pyongyang, ha «interesse a svolgere un ruolo costruttivo nel frenare le peggiori tendenze della Corea del Nord». E che se la Corea del nord «continua su questa strada, ci sarà un ulteriore rafforzamento della presenza militare americana nella regione», una vera e propria minaccia per Pechino, già allarmata per i nuovi partenariati di difesa a guida Usa Aukus e Quad.

Sul convitato di pietra in Indonesia, Vladimir Putin, Zhao ha ribadito che le relazioni tra Pechino e Mosca - portate da Xi Jinping su vette mai viste dal Trattato di amicizia, alleanza e mutua assistenza del 1950 - sono «solide come una roccia» e caratterizzate da «grande fiducia reciproca».

La Cina rivendica la sua quasi-alleanza con la Russia e non vuole essere chiamata in causa dagli Usa per una guerra lontana, rispetto alla quale ritiene di non avere responsabilità, e sulla quale continua a limitarsi a fare appello al dialogo e alla moderazione.

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