Le elezioni hanno pronunciato un verdetto chiaro a favore di Giorgia Meloni e dei suoi alleati, ma la traumatica fine del governo Draghi e la scarsa reputazione internazionale di alcuni personaggi all’interno dell’attuale centrodestra costituiranno un ostacolo non facilissimo da superare per il nostro paese nel contesto europeo e globale.

Quello geopolitico sarà, perciò, uno dei terreni più delicati sui quali si dovrà misurare il prossimo governo.

I rapporti con la Russia

Le maldestre parole del ministro francese Laurence Boone sulla necessità di una sorta di “vigilanza democratica” sull’Italia, per quanto corrette poi da Macron, hanno suscitato la reazione ferma del presidente Mattarella. Non v’è dubbio, tuttavia, che questa “voce dal sen fuggita” rappresenti una perplessità diffusa, per quanto ingiustificata, in molti rappresentanti della comunità internazionale.

Nell’ipotesi che sia Giorgia Meloni la nuova prima ministra italiana, va considerato che lei ha preparato la propria premiership accreditandosi a Washington a tempo debito. Il suo sostegno alla causa ucraina contro l’aggressore russo ne conferma la vocazione atlantista, e questa è un’ottima notizia. Su questo fronte dovrà però guardarsi dai suoi principali alleati che, al contrario di lei, non hanno mai nascosto le proprie simpatie per il regime di Mosca.

Il rapporto quantomeno equivoco tra la Lega di Salvini e Russia Unita e le frequenti e inspiegabilmente maldestre esternazioni filoputiniane di Berlusconi sono un fardello che potrebbe pesare anche nella già difficile corsa del nostro paese per la conquista della posizione di segretario generale della Nato dopo Jens Stoltenberg (salvo che ci sia in campo lo stesso Mario Draghi). Il nuovo governo dovrà mantenere un atteggiamento di grande chiarezza sulla vicenda ucraina, non dando spazio a finti pacifismi che mettono sullo stesso piano aggressore e aggredito: su questo è stato molto chiaro lo stesso presidente Mattarella, così come lo sono i leader delle democrazie occidentali.

L’atteggiamento verso Pechino

Il fronte cinese è, in questo momento, assai delicato. Il nostro paese è stato l’unico tra i membri del G7 a firmare il protocollo d’intesa per il progetto “Belt and road”, la nuova via della Seta, con il primo governo Conte. Una sottoscrizione che aveva indisposto non poco i nostri principali alleati.

Oggi questo grande e ambizioso progetto ha avuto un brusco stop proprio a causa del conflitto in Ucraina, e ciò potrebbe creare le condizioni perché l’Italia riveda una posizione che era stata presa in modo affrettato e inopportuno, soprattutto perché non concordata con i principali partner occidentali. La Cina rimane per l’Italia un soggetto molto importante in termini economici e commerciali, ma non possiamo ignorare le molte zone d’ombra che le politiche internazionali di Pechino oggi presentano, in primis il sostegno alla Russia sulla vicenda ucraina, nonché le questioni riguardanti Taiwan e le isole del mar Cinese orientale e meridionale. L’atteggiamento italiano nei confronti di Pechino dovrà essere coordinato con le posizioni degli alleati, senza rischiose fughe in avanti.

Il rapporto con l’India

Altro tema di grande importanza strategica è il rapporto con l’India. L’evoluzione delle posizioni espresse a Samarcanda dal premier Narendra Modi sulla questione Ucraina sottolinea la scelta di Delhi di privilegiare il rapporto politico, oltre che commerciale, con l’occidente. Le visite incrociate tra autorità indiane ed europee degli ultimi mesi non possono passare inosservate e rappresentano un chiaro segno che anche l’Italia deve raccogliere, nonostante le ferite, non ancora del tutto rimarginate, della penosa e complicata vicenda marò.

Oggi è tempo di superare definitivamente quelle ruggini per rafforzare la collaborazione la cui necessità sembra sia stata finalmente colta anche a livello europeo.

Il dossier Mediterraneo

Il fronte sul quale il nuovo governo dovrà impegnarsi maggiormente è quello dell’attenzione al versante sud.

Il Mediterraneo ha ritrovato una centralità geopolitica globale per ragioni, purtroppo, negative: la crescente instabilità del nord Africa e del medio oriente, le persistenti tensioni che circondano Israele, il terrorismo di matrice islamista, l’inquietante presenza dell’Iran. Il tentativo, poi, di giocare ruoli più o meno egemonici da parte di potenze come la Cina, la Russia e la Turchia, mosse da interessi contrastanti, ha ulteriormente destabilizzato la regione. Né giovano i contrastanti interessi economici di diversi paesi europei rispetto allo sfruttamento dei grandi giacimenti di gas, le tensioni tra Turchia, Grecia e Cipro e, men che meno, il persistere di una situazione drammatica in Siria.

L’Italia deve rafforzare il proprio ruolo di elemento equilibratore, a partire dai tradizionali buoni rapporti con i principali paesi della sponda sud del Mediterraneo, pur consapevole della ancor difficile situazione che caratterizza i rapporti con l’Egitto a causa del caso Regeni.

Il nuovo governo dovrà spingere l’Unione europea a implementare un piano Marshall per l’Africa, unica condizione per poter aiutare quel grande continente a progredire, risolvendo, o per lo meno limitando al massimo, anche i drammatici fenomeni dell’immigrazione clandestina.

Anche in sede Nato sarà essenziale che l’Italia continui a spingere perché l’attenzione dell’Alleanza verso il fianco sud non si attenui, pur se la situazione a est è drammatica. L’Alleanza atlantica ha un compito strategico complesso ma indispensabile, nel mantenere e migliorare la stabilità ai propri confini, e il Mediterraneo è uno di questi.

Su tutti questi fronti sono certo che Giorgia Meloni sarà in condizioni di poter imporre anche ai suoi partner più recalcitranti posizioni chiare e in linea con la nostra profonda e storica vocazione atlantista.

Il fronte europeo

È invece proprio in Europa che potrebbero nascere i problemi più rilevanti per il nuovo governo. Con a capo una guida come Giorgia Meloni, che della critica all’Europa e alle sue istituzioni non ha mai fatto mistero, riprenderanno fiato i falchi anti italiani, per i quali il nostro paese è una sorta di vampiro che succhia risorse all’Unione europea per buttarle nella voragine di un debito pubblico fuori controllo. Solo il prestigio personale di Mario Draghi e l’ottimo operato del suo governo erano riusciti, almeno apparentemente, a invertire questa percezione: Meloni si troverà nuovamente addosso gli occhi di tutti. Non la aiuteranno certo né un Salvini destinato a ripiombare nella fase populista nell’affannoso – quanto inutile – tentativo di recuperare consensi, né un Berlusconi che, insieme alla lucidità che ne ha fatto per due decenni un leader indiscusso, ha purtroppo perso anche la parte migliore della propria classe dirigente.

C’è un’altra considerazione importante, sempre sul fronte europeo. Mario Draghi, complici le debolezze degli altri leader (in primis Macron e Scholz), aveva avviato un percorso che avrebbe potuto consentire all’Italia di prendere il posto del Regno Unito dopo la Brexit, ricostituendo così l’asse Roma-Berlino-Parigi che, grazie all’opera di De Gasperi, Adenauer e Schuman, aveva dato origine al progetto stesso dell’Unione europea.

Giorgia Meloni non dovrà permettere che questo percorso si interrompa, anzi deve cercare di portarlo a termine. Se fallirà in Europa, finirà presto anche il suo ruolo guida in Italia, visto che ormai le leadership si bruciano in tempi sempre più brevi.

Sarà proprio l’Europa, dunque, la principale sfida geopolitica per l’Italia. Per affrontarla adeguatamente, Giorgia Meloni dovrà mantenere molto alto il profilo del proprio governo, ma, se posso dare un consiglio non richiesto, le gioverebbe anche una lettera di dimissioni dal proprio ruolo di presidente dei conservatori europei – gruppo che non si distingue certo per europeismo – nel momento in cui varcasse la soglia di palazzo Chigi.

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