L’incriminazione di Trump che ha ancora un ampio sostegno elettorale è sintomo dell’accelerazione della decadenza della democrazia statunitense. Così ieri il tabloid nazionalista Global Times ha riassunto in un titolo la lettura che i media cinesi, all’unisono, danno delle vicissitudini giudiziarie dell’ex inquilino della Casa bianca, che potrebbe rientrarvi vincendo le elezioni del 5 novembre 2024.

Secondo Lu Xiang, ricercatore dell’Accademia di scienze sociali citato dal giornale del gruppo editoriale del Quotidiano del popolo, «la possibilità che un criminale venga eletto presidente rappresenta soltanto un episodio della farsa politica statunitense, la cui democrazia incentrata sulle elezioni si è deteriorata al punto di tradursi in una scelta tra il meno peggiore dei candidati».

I cinesi hanno potuto “ammirare” più di qualunque altro popolo l’assalto degli hooligans trumpiani a Capitol Hill del 6 gennaio 2021, che la propaganda governativa ha ritrasmesso e commentato come prova provata delle irreparabili disfunzioni della democrazia liberale.

Per l’occasione il vignettista Wuheqilin ha pubblicato un cartoon raggelante, diventato virale su Weibo (il Twitter cinese): una commessa che copre con la bandiera a stelle e strisce il cadavere di un parlamentare, mentre due poliziotti puntano la pistola contro i facinorosi che stanno bastonando un altro membro del Congresso, con la didascalia: Separazione dei poteri – ladri, delinquenti, assassini.

L’efficacia del socialismo

In realtà Trump ha goduto di una certa popolarità tra i cinesi – almeno fino a quando, nel 2018, gli ha scatenato contro la guerra commerciale –, che sui social hanno manifestato ammirazione per i modi diretti e il successo imprenditoriale di The Donald, così lontano dal tradizionale formalismo degli alti funzionari del partito comunista cresciuti a pane e politica.

E chissà che la stessa leadership cinese non preferisca a questo punto un ritorno alla Casa bianca di Trump, che era quasi riuscito nell’impresa di isolare gli Usa, piuttosto che di Joe Biden, che ha fatto della alleanza delle democrazie contro l’autoritarismo il tratto distintivo della sua diplomazia.

Ma tant’è, il dipartimento di propaganda – tra i più importanti nell’immensa burocrazia del Pcc – è abilissimo a sfruttare ogni passo falso della democrazia liberale e l’imputazione dell’ex presidente per l’attacco delle sue squadracce al cuore delle istituzioni rappresenta un boccone ghiottissimo.

Il messaggio che viene trasmesso a media unificati è: il fatto che tali eventi in Cina non si verificano è una chiara dimostrazione della superiorità del socialismo cinese rispetto alle democrazie liberali.

Di più, negli ultimi anni proprio le bizzarrie di Trump e i conflitti interni alla sua amministrazione, assieme alla risposta alla pandemia in occidente, giudicata debole, sono stati i principali argomenti della propaganda anti-occidentale a sostegno del sistema cinese.

La Cina di Xi Jinping si considera una democrazia socialista, una democrazia che funziona meglio di quella liberale, che pone l’accento sull’efficacia di governo (messa a dura prova da sostanziale fallimento del contenimento di Omicron, del quale i cinesi sono ben consapevoli).

La presunta superiorità del sistema cinese rispetto alla democrazia liberale è diventata una parte fondamentale dell’ideologia della Cina di Xi. E c’è una figura che più di altre ha contribuito a questa narrazione, quella di Wang Huning, attualmente numero quattro del comitato permanente dell’ufficio politico, il governo di fatto del paese.

Promosso dal XX congresso dalla quinta alla quarta posizione nel gruppo di sette uomini (mai, finora una donna è entrata a farne parte) più potenti del paese, Wang è tra i leader più influenti della storia della Repubblica popolare cinese.

Un compendio delle sue idee si può trovare in America against America, saggio pubblicato dopo un viaggio di sei mesi come visiting scholar in una ventina di atenei degli Stati Uniti.

La democrazia americana – secondo Wang – è come una S.p.A.: in teoria tutti i detentori di azioni hanno voce in capitolo, in pratica a controllare l’azienda è chi possiede una minoranza delle quote. Per questo è destinata a implodere.

Funzionari incorruttibili

In linea con la tradizione confuciana, Wang afferma che è compito dell’educazione elevare lo standard morale dei cittadini, soprattutto dei funzionari di partito, che devono “interiorizzare” un comportamento etico.

Partendo da questo punto di vista – come non hanno mancato di sottolineare i media governativi – l’attentato trumpiano al momento clou della democrazia (l’elezione del presidente), “guidato” dal presidente uscente, è una conferma del fallimento della democrazia liberale.

Nato nella provincia dello Shandong (la terra di Confucio), Wang è stato allievo di Chen Qiren, uno dei maggiori studiosi cinesi del Capitale di Marx. Classe 1955, accademico puro prestato alla politica, Wang ha partecipato alla stesura delle teorie delle «tre rappresentanze», della «visione scientifica dello sviluppo» e del «pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era».

Nonostante rifiuti l’etichetta, l’ex professore dell’università Fudan di Shanghai è considerato il principale esponente del “neo-autoritarismo”, dottrina secondo la quale la stabilità politica costituisce la base dello sviluppo economico, mentre la democrazia e le libertà individuali potranno arrivare quando ve ne saranno le condizioni.

In un articolo del 1993 intitolato Prerequisiti politici per l’economia socialista di mercato Wang ha sostenuto che «la nascita di istituzioni democratiche richiede l’esistenza di specifiche condizioni storiche, sociali e culturali. Finché queste condizioni non sono mature, il potere politico deve essere diretto verso lo sviluppo di queste condizioni».

Per il partito guidato da Xi Jinping non soltanto le condizioni non sono mature, ma la democrazia liberale, con l’ascesa del trumpismo e con la risposta alla pandemia, si è data per due pesanti zappe sui piedi.

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