In una guerra di propaganda anche mezzi non letali diventano armi. Secondo un’analisi di NewsGuard – una piattaforma indipendente che monitora l’affidabilità dell’informazione – tre quarti dei post più popolari su X che hanno divulgato notizie false sulla guerra tra Israele e Hamas sono stati condivisi da profili con la spunta blu, ossia account “verificati” o premium.

Nella prima settimana di guerra il sistema ha analizzato 250 post in lingua inglese con maggiore engagement (cioè quelli che hanno ricevuto più like, repost, risposte e segnalibri) che promuovevano una delle 10 principali narrazioni false o infondate relative alla guerra e incluse nel catalogo dei Misinformation Fingerprints, il database di NewsGuard sulle principali narrazioni false che si diffondono online.

Il 74 per cento di questi (186) post sono stati diffusi da utenti con la spunta blu. In totale tutti e 250 i tweet hanno ricevuto oltre un milione di interazioni (repost, like, segnalibri e risposte) e sono stati visti in totale più di cento milioni di volte in una sola settimana.

Spunte blu

Prima di Elon Musk, gli utenti venivano verificati sulla base di criteri quali «l’autenticità, la notorietà e l’attività». Adesso questi requisiti non sono più necessari.

Qualsiasi utente può ottenere la sua spunta blu, semplicemente inserendo il suo numero di telefono, una foto profilo (X non specifica se la foto debba essere del proprietario del profilo o, in generale, di una persona reale), accettando di non «appropriarsi indebitamente dell’identità di individui, gruppi o organizzazioni» e di non fare «spam», e soprattutto pagando 8 dollari. X non ha mai rilevato che criteri utilizzi per esaminare le domande di spunta blu, ma la questione è di particolare rilevanza.

Gli account premium, infatti, non solo posseggono un’aura presunta di credibilità, ma a loro viene anche garantita priorità di visualizzazione dall’algoritmo della piattaforma e questo è determinante perché un post diventi virale su X. Dei 25 post a più alto engagement che promuovevano la bufala più condivisa in lingua inglese tra quelle individuate da NewsGuard (l’Ucraina avrebbe venduto armi ad Hamas), 24 dei 25 post provenivano da account “verificati”, quasi il cento per cento.

Allentamento nei controlli

X non è l’unica piattaforma su cui sono diffuse notizie false, queste sono state rilevate da NewsGuard anche su Facebook, Instagram, TikTok e Telegram, ma ha scelto di concentrarsi sulla piattaforma di Musk perché è l’unica che ha reso pubblica la decisione di ridurre i suoi sforzi di moderazione dei contenuti. 

NewsGuard riporta che anziché affidarsi a fact-checker professionisti o ad altri progetti di giornalismo indipendente, Musk basa il controllo delle notizie sul fact-checking in crowdsourcing attraverso le cosiddette “Note della collettività”. Gli utenti aggiungono collettivamente informazioni contestuali a post potenzialmente fuorvianti. Tutti i collaboratori possono lasciare note sui tweet, ma se un numero sufficiente di collaboratori, con diversi punti di vista, valuta utile una nota, questa verrà mostrata pubblicamente su un post.

Per entrare a far parte delle “Note della collettività” gli utenti devono soddisfare alcuni criteri di idoneità previsti da X, ma poi il gruppo non rappresenta il punto di vista della piattaforma. Le sue note non possono essere editate o modificate da X, così come un post con una nota della collettività non verrà etichettato o rimosso dalla piattaforma a meno che non violi le regole di X. 

Il problema però è che, secondo NewsGuard, nel 68 per cento dei casi queste note non comparivano su post contenenti informazioni errate, già ampiamente smentite, sulla prima settimana di guerra. E infatti è stata trovata solo una nota della collettività tra i primi 25 tweet in lingua inglese che sostenevano l’affermazione infondata secondo cui Israele avrebbe ucciso 33mila bambini palestinesi dal 2008.

NewsGuard ha anche contattato la piattaforma via mail in merito ai risultati del suo report e alle pratiche di controllo adoperate su X premium. Per tutta risposta l’ufficio stampa del social ha inviato una risposta automatica: «Ora siamo occupati, per favore ricontrollate più tardi».

Libertà d’espressione

Stando a quanto comunicato dallo stesso Elon Musk, la decisione di acquistare Twitter si sarebbe basata sulla volontà di rendere la piattaforma più libera. «La libertà di espressione è il fondamento di una democrazia funzionante, e Twitter è la piazza digitale dove si dibattono questioni vitali per il futuro dell’umanità», aveva detto Musk al momento dell’acquisizione. 

Il suo impegno nell’eliminare le vecchie prassi restrittive e la sua ferma posizione contro l’esclusione degli individui da Twitter a causa delle loro convinzioni politiche, se da un lato gli ha fatto valere la candidatura al premio Sacharov dell’eurocamera per la libertà d’espressione da parte del gruppo Identità e Democrazia – di cui fa parte anche la Lega –, dall’altro ha fatto sì che su X fossero reintegrati tutti quei profili di individui e gruppi di estrema destra che erano stati precedentemente sospesi con l’accusa di hate speech. Tra gli altri: l’attivista politico inglese con posizioni anti-islamiche Tommy Robinson e Britain First, un partito fascista britannico, l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il rapper Kanye West.

E infatti, secondo il report del Center for Countering Digital Hate (Ccdh), dall’inizio del 2022 sono stati trovati più di 1 milione e 700mila tweet contenenti insulti verso la collettività Lgbtq+. 

Non solo. X non rimuove il 99 per cento dei contenuti d’odio pubblicati dagli utenti che hanno sottoscritto l’abbonamento a Twitter Blue per ottenere maggiore visibilità. Secondo la presidente del centro, Imran Ahmed, «non si tratta di un incidente. Elon Musk ha strizzato l’occhiolino a tutte le persone razziste, omofobe e transfobiche, incoraggiandole a stare su Twitter».

Definizione di libertà nebulosa

Il patron di X ritiene che la sua posizione sulla libertà di parola sia stata travisata, perché la sua definizione del diritto di parola «coincide con quella stabilita dalla legge».

L’unico problema è che le leggi sulla libertà di espressione differiscano a seconda del paese in cui si vive e molti stati non vietano ad esempio l’incitamento all’odio, uno per tutti gli Stati Uniti.

La soluzione di Musk alle rimostranze che gli vengono mosse da parte di quei paesi che bilanciano la libertà d’espressione tenendo conto anche di altri diritti sembra però essere quella di voltarsi dall’altra parte. Giovedì Musk ha annunciato di star valutando la possibilità di rimuovere dall’Europa il social e impedire l’accesso agli utenti dell’Unione europea per non doversi piegare alle nuove regole europee a difesa degli utenti.

EPA

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