Negli ultimi giorni Byd ha ridotto il costo della sua e2, portandolo a 89.800 yuan, pari a circa 11.500 euro. Con lo sconto sulla sua compatta sono saliti a cinque i modelli di auto elettriche (Ev) della compagnia di Shenzhen in vendita sotto la soglia psicologica dei 100.000 yuan.

Un’opportunità per i consumatori cinesi a basso reddito, un incubo per i marchi europei, che sfornano poche novità, decisamente meno economiche, e che perciò temono una “invasione” di macchine a batteria made in China.

L’ultima svendita dell’azienda che nel quarto trimestre ha superato per la prima volta Tesla per numero di Ev consegnati è arrivata dopo un 2023 che ha fatto registrare uno sconto medio (per ogni veicolo, di qualsiasi brand) di 15.000 yuan (1.914 euro).

Nel primo mercato globale per gli Ev è in corso una guerra dei prezzi che, protrattasi senza tregua nel 2024, è destinata a lasciare sul campo di battaglia alcuni dei 94 brand (per 300 modelli complessivi) che affollano un settore diventato strategico per l’economia nazionale e per la transizione energetica.

Si va avanti a colpi di record (circa 6 milioni di Ev acquistati nel 2022, oltre 8 milioni nel 2023, quest’anno si punta a 10 milioni), ma ora le compagnie cinesi devono farsi largo anche all’estero, per recuperare gli investimenti, sfruttare la capacità produttiva accumulata, e per fronteggiare il prevedibile rallentamento di una domanda interna che non potrà essere sostenuta per sempre dalle promozioni.

Lo scontro sulle tariffe

È su questo sfondo che, il 7 marzo scorso, è entrato in vigore un regolamento dell’Ue che impone la registrazione doganale degli Ev importati dalla Cina.

Una mossa che potrebbe far scattare aumenti provvisori dei relativi dazi già a luglio, in attesa del verdetto dell’inchiesta anti-sussidi avviata da Bruxelles il 4 ottobre 2023.

L’indagine è partita “ex officio”, ovvero non da una segnalazione, ma su iniziativa Commissione, che negli ultimi giorni ha fatto sapere di disporre «di sufficienti elementi di prova tendenti a indicare che le importazioni del prodotto in esame dalla PRC sono oggetto di sovvenzioni» e ha denunciato un aumento massiccio delle importazioni di Ev cinesi da quando è scattato il procedimento.

«La Cina esprime grande preoccupazione al riguardo e l’industria è estremamente preoccupata per i dazi retroattivi che l’Ue potrebbe adottare in futuro», ha replicato il ministero del commercio.

Secondo Pechino l’incremento delle importazioni di Ev cinesi nell’Ue (177.839 unità tra ottobre 2023 e gennaio 2024) è in linea la domanda dei consumatori europei, cresciuta nel 2023 del 37 per cento rispetto all’anno precedente.

Attualmente le auto importate nell’Ue dalla Cina sono soggette a dazi del 10 per cento, mentre quelle esportate dall’Europa a 27 pagano tariffe tra il 15 e il 25 per cento per entrare nella Rpc, il paese che per decenni ha rappresentato una miniera inesauribile di profitti per produttori europei, statunitensi, nipponici e coreani, finché Pechino è riuscita a rimpiazzare la sua arretrata manifattura di motori a combustione interna (Ice) proiettandosi all’avanguardia in quella delle batterie agli ioni di litio, e i cinesi hanno imparato a costruire le macchine meglio degli altri.

Né con Macron, né con Volkswagen

Dopo che per oltre 40 anni le grandi case automobilistiche (per l’Europa soprattutto le tedesche) hanno fabbricato nella Rpc centinaia di milioni di auto vendute ai consumatori locali, i cinesi sono pronti ad aggirare l’aumento dei dazi in arrivo costruendo le loro macchine direttamente nel Vecchio continente, incrociando la domanda di Ev abbordabili, assecondando la decarbonizzazione e favorendo il mantenimento dei livelli occupazionali.

L’arrivo dei cinesi segnerà la fine dell’industria europea dell’auto? Intanto l’Europa l’Europa fronteggia l’avanzata dell’elettrica cinese in ordine a dir poco sparso.

I tedeschi stanno siglando accordi strategici (come quello tra Volkswagen e XPeng) con i costruttori cinesi per provare a mantenere una presenza significativa nel mercato locale e andare a braccetto in quelli della periferia del nuovo impero.

La Francia promuove il protezionismo a difesa dei suoi produttori, mentre l’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, invoca l’aumento dei dazi.

I governi di paesi con un settore automotive più in difficoltà, come Spagna e Italia, corteggiano Pechino alla ricerca di partner industriali per salvare impianti che altrimenti rischierebbero la chiusura, con relativi massicci licenziamenti.

Nelle scorse settimane Adolfo Urso ha confermato che il governo Meloni sta cercando un secondo produttore da affiancare a Stellantis, che vorrebbe convincere ad aumentare la produzione italiana a 1 milione di unità entro la fine del decennio. Se altre 300 mila le facessero i cinesi, sarebbe possibile raddoppiare la produzione del 2023 (800.000).

A tal fine il ministro dell’industria ha incontrato i dirigenti di tre compagnie, delle quali non sono stati rivelati i nomi. Si è parlato di Byd, ma il direttore per l’Europa, Michael Shu, ha fatto sapere che è ancora troppo presto per decidere se, oltre a quello in costruzione Ungheria, la sua azienda avrà bisogno di un altro stabilimento.

Poi di Chery - l’esportatore cinese numero uno per volumi - che sarebbe disposto sia a utilizzare una fabbrica già in funzione, sia a costruirne una nuova di zecca.

Ma l’azienda di Wuhu - non particolarmente forte negli Ev - ha messo gli occhi sull’ex impianto Nissan di Barcellona, dopo aver avviato la produzione in Brasile e avendo nuove fabbriche in costruzione in Argentina e progetti per il Regno Unito.

Si pensa anche a Great Wall Motor, mentre per lo stabilimento torinese di Mirafiori si era vociferato di Leapmotor, un produttore di Hangzhou non esattamente di primo livello, di cui Stellantis ha acquisito il 20 per cento.

Byd diventa globale

Nel frattempo gli ultimi numeri di Byd raccontano di come compagnia cinese (derisa pubblicamente da Elon Musk una dozzina d’anni fa per la sua “tecnologia scadente”) stia diventando globale: l’anno scorso le esportazioni (244 mila unità, verso una settantina di paesi) sono aumentate del 334 per cento, e nuovi impianti stanno sorgendo in Thailandia, Uzbekistan, Brasile, e Ungheria e, forse, in Messico.

Grazie alla testa di ponte in costruzione a Szeged, nel sud dell’Ungheria, Byd, che l’anno scorso ha venduto nell’Ue 15.644 Ev, pari all’1,1 per cento del mercato, punta a conquistarne il 10 per cento entro il 2030.

Stime che gli analisti del settore giudicano conservative: in realtà il colosso di Shenzhen - che negli ultimi mesi ha aperto concessionarie nei principali paesi Ue - punterebbe a dominare presto il mercato europeo degli Ev.

La fabbrica di Szeged avvierà la produzione entro la fine del 2025: 150.000 Ev all’anno, con la possibilità di spingerla fino a 300.000. Build Your Dreams (da cui l’acronimo Byd) si annuncia come un osso durissimo per i competitor europei.

Nata come produttrice di modelli economici, grazie alla sua spintissima “integrazione verticale” (la gran parte dei componenti viene costruita in azienda, non acquistata altrove) è riuscita a moltiplicare i profitti negli ultimi anni, quando le filiere delle concorrenti sono state interrotte dalla pandemia.

E così oggi dispone di una varietà di modelli che vanno dalle super car, alle premium, alle compatte, a prezzi ultra competitivi.

Pechino ha puntato da lungo tempo sul settore degli Ev e, dal 2009 al 2022, ha investito oltre 200 miliardi di yuan (29 miliardi di dollari) in sussidi e agevolazioni fiscali. Ufficialmente, circa 2 miliardi all’anno.

Fondi governativi erogati nell’ambito di una strategia di politica industriale, come quelli che gli Usa stanno mobilitando a sostegno del settore dei semiconduttori o come i 902 milioni di euro recentemente stanziati dal governo tedesco (col via libera dell’Ue) per costruire un impianto per la produzione di batterie per Ev nella città di Heide.

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