Leonid Volkov era un collaboratore di lunga di data di Aleksej Navalny, il leader dell’opposizione russa morto in un carcere siberiano lo scorso 16 febbraio. Volkov, dopo essere stato aggredito con un martello e gas lacrimogeno, fuori da casa sua a Vilnius in Lituania, ha promesso pubblicamente, con un video su Telegram, di continuare la lotta contro il presidente russo Vladimir Putin. Lavorava a stretto contatto con Navalny, capo dello staff del dissidente, uno dei suoi principali avvocati e fino al 2023 presidente della sua Fondazione anticorruzione. Ha lasciato la Russia per questioni di sicurezza.

Con un braccio rotto, a causa dell’attacco, afferma: «Lavoreremo e non ci arrenderemo». Ricoverato per breve tempo in ospedale, il 43enne ha raccontato in un post Telegram che è stato aggredito nel cortile, colpito «sulla gamba circa 15 volte. La gamba in qualche modo è a posto. Fa male camminare… Comunque mi sono rotto il braccio». E aggiunge: «Volevano letteralmente rendermi una cotoletta».

Poco prima dell’attacco, Volkov aveva detto al media indipendente russo Meduza di temere per la sua sicurezza: «Il rischio principale ora è che verremo tutti uccisi. Perché, è una cosa abbastanza ovvia». Il team di Navalny ha pubblicato le foto a seguito dell’attacco, mostrando le gambe e il viso del collaboratore insanguinati e un auto con un finestrino rotto. Volkov aveva esortato i russi a manifestare in vista delle elezioni presidenziali, definite da lui un «circo», in cui si attende una rielezione di Putin, dopo quasi 25 anni come presidente o primo ministro.

Un’aggressione «scioccante», ha commentato su X il ministro degli Esteri lituano, Gabrielius Landsbergis, mostrando l’indignazione del governo lituano. Le autorità avrebbero identificato i sospettati. 

La morte di Navalny 

Non sono ancora chiare le cause della morte del leader dell’opposizione russa nella colonia penale della regione artica. Volkov, il giorno dopo la notizia del decesso, aveva dato la responsabilità al presidente russo: «Putin ha ucciso Navalny. E molti altri prima ancora».

© Riproduzione riservata