«Siamo stati cacciati dall’Ungheria». Con queste parole la Central european university, finanziata dal miliardario americano di origini ungheresi George Soros, nel 2018 ha traslocato da Budapest a Vienna. Era in Ungheria dal 1991. La riforma del sistema universitario voluta dal premier ungherese, Viktor Orbán, nel 2017 aveva di fatto espulso l’accademia di Soros, stabilendo che gli atenei stranieri operanti sul suolo ungherese dovessero aprire un campus anche nel paese di origine.

Ceu, che rilasciava diplomi riconosciuti in America, non aveva sedi americane ed è stata costretta ad andare via. Ora la Corte di giustizia europea boccia la riforma: «E’ incompatibile con le norme Ue», dicono i giudici. I vincoli ai quali Budapest sottopone le università straniere violano «sia la libertà di impresa che quella accademica».

Il giudizio, che arriva tre anni dopo quella legge e a seguito di un ricorso della Commissione, difficilmente riporterà a Budapest quell’università: ormai il trasloco è fatto, e nel frattempo in Ungheria la «libertà accademica» citata nella sentenza si è sempre più ristretta. Nonostante studenti e professori comincino a protestare (a settembre hanno occupato l’Università per il teatro e le arti cinematografiche della capitale), l’accademia è sottoposta a un crescente controllo da parte del governo, che al contempo esternalizza le università: una dopo l’altra, vengono trasformate in fondazioni private.

A dirigerle è un “board”, ma lo nomina l’esecutivo, per cui le briglie le ha Orbán. Alla riduzione delle libertà, e alla cacciata del “nemico” Soros, si accompagna pure un riallineamento geopolitico. Mentre la Ceu è finita fuori confine, oggi l’università Corvinus di Budapest stringe partnership con la Fudan University di Shangai.

«Con il supporto della Banca centrale ungherese, queste due prestigiose università offrono un doppio diploma in un momento in cui la cooperazione tra Est Europa e Cina è sempre più stretta, come con la via della seta». Fuori Soros, dentro la Cina, insomma.

I rapporti tra il premier e il miliardario non sono sempre stati tesi, anzi. L’attuale primo ministro è stato finanziato e supportato da George Soros. Nel 1989, quando Orbán è un giovane intraprendente che invoca il ritiro delle truppe sovietiche, la fondazione Soros finanzia il suo movimento con soldi, computer, fotocopiatrici.

Nello stesso anno, è grazie ai diecimila dollari della borsa accordata dal miliardario, che Orbán si trasferisce per qualche mese a Oxford, al Pembroke college. Nel 1991, Soros dirà: «La mia fondazione ha svolto un ruolo nella formazione di questa giovane e talentuosa classe dirigente. Loro sono le promesse del futuro».

In qualche modo il pronostico si è realizzato, solo che la “promessa del futuro” dal 2010 in poi ha preso le distanze in modo sempre più netto da ogni principio liberale. Dalla fine del 2016 Soros è diventato per Orbán l’obiettivo polemico per eccellenza.

Nel referendum sui migranti, ha utilizzato le gigantografie del miliardario e lo slogan “Non lasciamo che rida per ultimo”. Con la cacciata della Ceu il premier si è liberato di un ateneo «sovversivo». Difficilmente sarà la Corte europea a far tornare indietro le lancette: «Qualsiasi sentenza Ue verrà applicata solo se conforme agli interessi ungheresi», dice il governo.

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