In Germania le nuove elezioni consegneranno al passato la cancelliera Angela Merkel dopo 16 anni di governo. Un politico che resta in sella così a lungo ha evidentemente la stoffa del leader, ma forse Angela non segnerà un’epoca, non verrà ricordata come un gigante della storia, come avvenuto per altri suoi predecessori come Konrad Adenauer, Helmut Schmidt o Helmut Kohl. «Arrivederci», ha detto la cancelliera in italiano in Mecklenburgo Pomerania ai suoi sostenitori nel corso di un giro elettorale in sostegno dei candidati locali del suo partito, la Cdu.

La “Mutti” nazionale, che spopola nelle librerie di mezzo mondo con biografie uscite in tutte le lingue, potrebbe dover governare ancora diversi mesi se i risultati renderanno più complicate la formazione del nuovo governo. Ma se i giudizi sono unanimi sul punto che Merkel abbia portato 16 anni positivi ai tedeschi, il giudizio è meno favorevole verso la sua politica europea: bene in casa, meno per la Ue. Strana accusa per un paese che con Helmut Kohl, il mentore politico di Merkel, il cancelliere dell’unificazione tedesca ai tempi di Bush padre (favorevole all’unione con la Ddr) e della Thatcher e di Andreotti (contrari a una Germania unificata), aveva chiarito in modo esplicito a Verdun con Mitterrand che avrebbe sempre preferito una Germania europea a un’Europa tedesca. Kohl seppe cogliere l’occasione che la storia gli portava davanti per piegare il nazionalismo tedesco, meno appariscente per le dure sconfitte subite in due Guerre mondiali ma non per questo meno forte e pericoloso, e cedere l’orgoglio del miracolo economico tedesco del Dopoguerra, la propria sovranità monetaria, per avanzare nel progetto della moneta unica europea. Proprio Kohl, negli ultimi anni della sua vita, amareggiato e critico verso la dirigenza del suo partito, aveva spesso accusato Merkel di scarsa visione strategica verso l’Europa e di rispondere alle crisi in modo emergenziale, episodico. Insomma di aver abbandonato il suo progetto di integrazione europeo.

Supremazia europea

Merkel, all’inizio sottovalutata dagli altri leader, spesso detestata come nel caso di Donald Trump, ha portato la Germania a conoscere 16 anni (salvo quelli della pandemia da Covid-19), di ininterrotta crescita e di supremazia incontrastata nel continente. Secondo dati Fmi dal 2005 la Germania ha subito la grande recessione, la crisi dell’euro e gli effetti della pandemia, eppure il reddito pro capite dei tedeschi è oggi superiore del 18 per cento, quello francese superiore del 5 per cento e quello italiano inferiore del 5 per cento. Il debito pubblico italiano è salito al 159 per cento del Pil, quello francese al 115 per cento e quello tedesco solo al 70 per cento, per di più con un saldo positivo delle partite correnti dell’8 per cento del Pil di Berlino. Certo Merkel, all’inizio non particolarmente raffinata in politica, ha avuto la fortuna di ricevere in regalo dal suo predecessore, il socialdemocratico Gerhard Schröder, le impopolari riforme sulla flessibilità del mercato del lavoro e sul welfare chiamate Hartz IV, modifiche legislative che fecero perdere le elezioni all’Spd ma fecero uscire dalle sabbie mobili l’economia tedesca fino a quel momento definita sulle copertine dell’Economist “la malata d’Europa”.

Merkel è stata capace di mettere a frutto quelle riforme strutturali, di non cambiare la rotta. Vero è che successivamente la cancelliera non ha dovuto fare molte altre riforme impopolari. Anche se ha preso decisioni importanti come l’ingresso del milione di profughi siriani nel 2015 e il no al nucleare dopo l’incidente di Fukushima in Giappone. Anche in quell’occasione seppe fiutare l’aria e decidere il cambio di rotta verso le energie rinnovabili e la tutela dell’ambiente, tema che con le recenti alluvioni che hanno colpito la Germania del nord a causa dei cambiamenti climatici è diventato centrale in questa consultazione.

La crisi dei debiti sovrani

Ma la questione che l’ha vista protagonista per almeno cinque anni e che l’ha fatta diventare impopolare in mezza Europa è stata la gestione dei debiti sovrani europei nel 2010 in seguito alla crisi dei mutui subprime negli Stati Uniti nel 2007. Un evento dove il suo ministro democristiano delle Finanze, Wolfgang Schäuble, l’artefice dell’austerità e del tentativo di espellere dall’euro la Grecia di Alexis Tsipras per lanciare un monito alle “cicale” dell’Europa mediterranea e soprattutto all’Italia, portò la moneta unica sull’orlo del burrone. La crisi venne superata soprattutto grazie al “whatever it takes” di Mario Draghi allora alla guida della Bce, ma i pensionati e dipendenti greci (e dei paesi mediterranei) pagarono un prezzo salatissimo fatto di tagli devastanti al welfare, servizi sanitari, abolizione dei contratti collettivi per ridurre i salari e recuperare, in mancanza di una svalutazione monetaria, sul fronte del costo del lavoro la competitività rispetto alla Germania. In quei giorni ad Atene la cancelliera tedesca era la figura europea più detestata dalla popolazione e la sua immagine (con quella di Schäuble) veniva collegata, con manifesti affissi sui muri della capitale ellenica, ai tempi bui dell’occupazione nazista del paese.

La Turchia ha lavorato «positivamente» con la cancelliera uscente della Germania, anche se le relazioni migliori sono state registrate con il predecessore di quest’ultima, Schröder. Lo ha detto il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, a margine dei lavori della 76esima Assemblea generale dell’Onu a New York, rispondendo a una domanda sulle elezioni tedesche. Il giudizio di Erdogan è significativo per capire i limiti delle politiche europee della Merkel. «Abbiamo avuto un processo positivo con Merkel, ma la gestione di maggior successo fra i cancellieri tedeschi è stata con Schröder», ha detto Erdogan. Eppure è proprio in occasione della crisi dei migranti siriani che Merkel ha accettato un milione di profughi ma poi ha firmato, con gli altri partner europei, un patto con Erdogan che in cambio del versamento di ben 6 miliardi di euro, avrebbe dovuto tenere nei suoi confini i rifugiati siriani. Un patto cinico che è poi diventato il prototipo della politica europea in materia di crisi migratorie.

La Cina

Un’altra eredità scomoda della cancelliera è il rapporto troppo stretto con la Cina di Xi Jinping. A detta della candidata alla cancelleria dei Verdi, Annalena Baerbock, «la linea politica verso la Cina dev’essere più dura» rispetto a quella portata avanti negli scorsi anni da Merkel. «Noi Verdi siamo per una linea di durezza e dialogo», ha scandito nell’ultimo dibattito televisivo la leader del partito ambientalista, che ha criticato con forza l’intesa firmata a dicembre scorso per gli investimenti tra l’Ue e la Cina. Una decisione criticata dall’amministrazione Biden che a dicembre 2020 non era ancora insediata a Washington, ma che non ha apprezzato questa fuga in avanti di Berlino e della Ue. La politica mercantile di Merkel verso Pechino spacca anche le forze politiche tedesche. Sempre nell’ultimo dibattito, il leader dei liberali, Christian Lindner, ha difeso l’importanza «degli interessi economici» con Pechino. «Difendere al tempo stesso i valori e gli interessi economici è molto difficile in pratica», ha affermato il capo della Csu, Markus Söder, aggiungendo che «in questo la cancelleria ha sicuramente molto da raccontare». Una difesa da parte del partito alleato bavarese che sebbene veda alcune criticità sull’intesa per gli investimenti con la Cina, nello stesso tempo ammette che non sarà facile trovare qualcosa di meglio. Ecco proprio in questo rapporto ambiguo con la Cina (e con Bruxelles) troviamo un elemento costante della politica merkeliana: non remare contro l’opinione pubblica, non fare scelte impopolari ma seguire l’onda fin quando è possibile. La corrente avversa non è l’acqua dove Merkel ama nuotare.

Difesa e politica estera Ue

Infine due grandi incompiute europee, come avrebbe detto Kohl, del periodo al potere della cancelliera: la mancanza di interventi in materia di difesa e politica estera. L’Ue, nel caso del ritiro dall’Afghanistan e della politica nell’Indo-Pacifico si è rivelata in difficoltà, senza strategie e capacità autonoma. Merkel in queste materie ha preferito glissare, usare l’ombrello di protezione difensiva americano e non pagare il biglietto della corsa. Certo a sua parziale discolpa c’è da segnalare un nazionalismo di ritorno nella società tedesca che si esprime ad esempio nei continui tentativi (per ora sempre falliti) della Corte suprema tedesca di opporsi alle decisioni della Bce affermando (erroneamente) che l’Ue ha poteri inferiori a quelli degli stati nazionali. Eppure i tedeschi sono stati i più avvantaggiati dal mercato unico e dall’euro e se non ci fosse la geografia ad incatenarli all’Europa avrebbero la tentazione di fare da soli. Forse di questo è stata sempre conscia Merkel. Così ha deciso di sfidare la paura di pagare i debiti degli altri solo quando, con la pandemia, ha dato via libera al massiccio intervento della Bce di acquisto di bond dei paesi mediterranei, scelta che ha poi aperto la strada al Recovery plan. Una decisione strategica che l’europeista Kohl avrebbe apprezzato.

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